Dibattito Cadaveri senza nome, a Milano il «primato»

Una banca dati nazionale delle persone scomparse, con gli elementi essenziali, altezza, età, sesso. Lo chiedono da anni i medici legali per risolvere il problema delle decine di cadaveri privi di identità, di cui Milano ha il poco invidiabile primato «nazionale»: 500 negli ultimi 15 anni, 83 quelli rimasti senza nome. Ne parleranno sabato a Palazzo Marino in un apposito convengo Stefano Pillitteri, assessore ai Servizi Civici, Cristina Cattaneo, docente di medicina legale, ed Elisabetta Pozza Tasca, presidente di Penelope, Associazione, come del resto suggerisce il nome, delle Famiglie e degli Amici delle Persone Scomparse. Ogni anno in città vengono portati all’istituto di piazzale Gorini una cinquantina di corpi da identificare, un numero in continuo aumento anche per la presenza di numerosi stranieri, molti dei quali clandestini e privi di documenti. Di questi, il 50 per cento è oggetto di indagini come morti sospette, e il 20 per cento come omicidi certi. La metà, come spiega la professoressa Cattaneo, erano persone vissute ai margini della società, clochard e immigrati, ma per l’altra metà si tratta di persone con famiglie che ne hanno denunciato la scomparsa. Ma vivendo in altre province, o addirittura in altre regione, non vengono mai a conoscenza del ritrovamento di un corpo che potrebbe appartenere al proprio parente scomparso.
Una banca dati nazionale degli scomparsi, con impronte digitali, Dna e riferimenti biometrici, potrebbe consentire di restringere il campo di ricerca a pochi soggetti e arrivare così più rapidamente alla identificazione.

Una risposta per chi sta cercando una persona cara, ma anche un punto di partenza certo per le indagini in caso di omicidio. In caso contrario, dopo sei mesi passati in una cella frigorifera, c’è la sepoltura sotto una lapide anonima: mai nato, mai vissuto, mai morto.

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