Diceva a Monicelli: «Non ti offenderò, morirò io per primo»

I due grandi registi si prendevano in giro. Dino ripeteva: «Spegnersi sarà bellissimo». Mario: «Non credo che mi potrà accadere»

Ormai s'era quasi trasformato in un duello a distanza tra i due grandi vecchi della commedia italiana. Un botta e risposta sui temi della morte. Con Risi che sfotticchiava la vitalità senile dell'amico Monicelli, ricevendo in cambio qualche battuta sul piacere di non arrendersi mai. L'uno quietamente rassegnato ad accogliere la morte quasi come una liberazione, nel chiuso del suo residence a un passo dallo zoo. L'altro, di un anno più agé, deciso a resistere all'usura del tempo, complice l'ottima fibra, girando faticosi film in Africa, presiedendo giurie, scendendo in piazza «da comunista» contro Berlusconi. Risi, sempre più candido e smagrito dietro gli occhialoni da sole, si divertiva a stuzzicare su quel versante. «Lo so, Mario spera che io muoia prima e sicuramente lo accontenterò, si offenderebbe se non lo facessi. Però voglio un premio, perché pare che avere novant'anni sia un merito», celiava. Aggiungendo: «Non lo capisco proprio. Io vorrei morire domani, nel sonno, senza soffrire. Mi sento un inquilino abusivo. Sono rimasto senza amici. Erano tutti più giovani di me e se ne sono andati prima di me, Gassman, Fellini, Zapponi, Tognazzi, Mastroianni, Sordi, Manfredi. Sono solo, non so più con chi parlare».
Monicelli, da buon toscanaccio, replicava alla sua maniera. Accettando di passeggiare per Ciprì e Maresco in un cimitero palermitano, dettando al critico Gregorio Napoli le tre frasi da incidere sul marmo, un giorno molto lontano: «Non volle mai essere chiamato maestro, nessuno la salutò mai per primo, non cedette mai a un'attrice». Magari un modo per esorcizzare la questione, scherzandoci sopra. Tanto che alla domanda cruciale - «Ma lei ha paura di morire?» - rispondeva: «Non credo che morirò. Certo è una possibilità, ma potrebbe non accadere. Muoiono solo gli stronzi». Battutaccia che spiega molto dell'uomo, lesto a individuare nel quasi centenario Manoel de Oliveira il vero rivale: «Finché sarà in vita non mi darò pace, è più vecchio di me e gira un film all'anno».
Un po', magari, Risi lo faceva per aderire al cliché dello scettico elegante, pronto a ironizzare su tutto: la Loren, Grillo, Veltroni, i registi «col cuore a sinistra e il portafoglio a destra». O forse no. Si diceva a favore dell'eutanasia. «È un diritto sacrosanto, civile, scegliere quando morire. Non è solo una questione di dolore, ma di sofferenza di vivere. Io voglio morire, non ce la faccio più, sono stanco», confessava quando l'umore volgeva al nero. Il che non gli impediva di risfoderare la mitica verve. Moriva Antonioni, regista che stimava pur avendolo canzonato nel Sorpasso, e dichiarava: «Nella disgrazia è stato anche fortunato, si è spento subito dopo tutte le chiacchiere su Bergman. A me, che potrei andarmene da un momento all'altro, conviene a questo punto aspettare. Se morissi oggi i Tg mi metterebbero dopo lo sport».

Invece no, ieri i Tg hanno aperto con la notizia. Per la cronaca: «A pagina 232 del suo libro I miei mostri, 2004, c'è scritto: “La morte, ha detto Saul Bellow, sarà una grande noia”. Non è vero, la morte sarà bellissima. E, aggiungo, ricca di sorprese».

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