Il divieto della prova testimoniale nel processo tributario ha sempre formato oggetto di discussione e ciò è confermato dal fatto che, sia in dottrina che in giurisprudenza, si è più volte discusso se la prova testimoniale determini anche il divieto di utilizzare in detto processo dichiarazioni rese da terzi agli Uffici o alla Guardia di Finanza nel corso dell'esercizio dei poteri istruttori riconosciuti a tali organi.
Per dirimere tale dubbio, la Corte Costituzionale con sentenza n. 18 del 21.2.2000 si è pronunciata a favore della utilizzabilità di dette dichiarazioni, da valutarsi, però, alla stregua di semplice indizio.
Tra l'altro, secondo autorevoli opinionisti, tali atti non possono essere utilizzati nell'ambito del processo tributario, in quanto si configurano come una vera e propria prova testimoniale.
Su questo argomento, con sentenza numero 1.11.2005 del 13.1.2005 depositata il 4.2.2005 la Sezione n. 11 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, limitatamente alla fattispecie di fatture per operazioni inesistenti per l'anno 1996, ha accolto due ricorsi riuniti.
Nel caso esaminato dai giudici lombardi, l'Agenzia delle Entrate Ufficio di Milano aveva emesso due separati avvisi di accertamento in materia di Imposta sul reddito delle persone giuridiche (Irpeg) e Imposta locale sui redditi (Ilor), nonché Imposta sul valore aggiunto (Iva), sulla base delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza del Nucleo regionale della polizia tributaria di Milano, che aveva rilevato la contabilizzazione e l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti per complessive £ 1.710.023.000 al fine di conseguire un risparmio fiscale ed una indebita detrazione di Iva.
Con i ricorsi impugnati, la ricorrente società contestava nel merito sia la ripresa fiscale che laddebito dellIva, in quanto la natura fittizia delle fatture indicate negli avvisi di accertamento non era stata documentata.
La qualificazione di fatture false, infatti, traeva conferma nelle dichiarazioni verbali rilasciate dal titolare della ditta che aveva, a suo tempo, acquistato i beni oggetto della contestazione per rivenderli alla società ricorrente che aveva provveduto al relativo pagamento.
Nella costituzione in giudizio, l'Ufficio contestava il recepimento acritico del Pvc (processo verbale)redatto dalla Guardia di Finanza che, di contro, era da ritenersi del tutto attendibile in quanto anche il disconoscimento dell'Iva di £ 318.000.000 detratta sugli acquisti dalla ricorrente trovava particolare motivo non solo nella menzionata dichiarazione acquisita dai verbalizzanti, ma anche nel fatto che la società era posseduta all'85 % dalla prima società fornitrice.
Il collegio giudicante, tenuto conto che gli «atti impugnati erano imperniati su prova testimoniale da cui sono stati tratti indizi tali da far ritenere le fatture emesse nei confronti della ricorrente relative ad operazioni inesistenti», ha ritenuto di non entrare nel merito del contenuto di dette dichiarazioni, in quanto a norma del 4° comma dell'art. 7 del Decreto Legislativo n. 546/92 la prova testimoniale è inammissibile nel processo tributario. Un tema, questo, che abbiamo già trattato in una delle precedenti rubriche, pubblicata l8 marzo scorso.
Così operando, prima la Guardia di Finanza e successivamente l'Ufficio (che ha girato totalmente in accertamento le risultanze del processo verbale) di fatto- stabilisce il Collegio- hanno utilizzato nel processo tributario uno strumento di prova vietato teso a motivare gli accertamenti impugnati.
Nel caso in commento, dunque, si ritiene condivisibile la sentenza che ha accolto i ricorsi riuniti ai fini Irpeg - Ilor e Iva derivanti da operazioni forzatamente assimilate a quelle fittizie.
In conclusione, riteniamo opportuno sottolineare che si tratta di una pronunzia, che si pone con assoluto rilievo all'attenzione di studiosi e operatori della materia, sia per la rilevanza tecnica e pratica della questione di diritto che per lo spessore dell'analisi sistematica e per le dettagliate motivazioni fornite.
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