Adalberto Signore
da Roma
Dieci anni esatti. Tanto è passato da quel 18 settembre del 1996, quando la Digos forzò il cordone di parlamentari leghisti che si opponevano alla perquisizione di via Bellerio. Unenorme zuffa, tra urla, calci e pugni. Finita con Roberto Maroni adagiato su una lettiga e Mario Borghezio a gridare che «lufficio di un parlamentare è inviolabile» mentre gli uomini della polizia ne buttavano letteralmente giù la porta. Quasi una battaglia campale, con deputati e senatori del Carroccio a strillare «Cile, Cile» e Maroni a gridare al «colpo di Stato». Al Viminale sedeva Giorgio Napolitano, che incassò buona parte degli strali della Lega. Dieci anni, dicevamo. E questa mattina alle 10.30 Umberto Bossi e il presidente della Repubblica si ritroveranno nelle stanze della prefettura di Milano per un faccia a faccia «riservato», organizzato proprio grazie alla mediazione di Maroni (che sarà presente allincontro).
Un appuntamento atteso quello tra il capo dello Stato e il Senatùr. Non solo perché Bossi è lunico leader politico a non aver ancora incontrato Napolitano dopo la sua elezione al Quirinale, ma pure perché sono giorni che il presidente della Repubblica auspica «un confronto» sullesito del referendum e «riforme condivise» per il futuro. Un invito che va di pari passo con le aperture al dialogo arrivate dal presidente della commissione Affari costituzionali Luciano Violante e dal ministro delle Riforme Vannino Chiti (che domani incontrerà sia Maroni che Roberto Calderoli). Così, al di là degli inevitabili convenevoli, quello di oggi sarà un colloquio nel quale il capo dello Stato sonderà la disponibilità della Lega ad aprire effettivamente un confronto. Verso il quale Bossi non pare avere alcuna preclusione.
Il Senatùr, insomma, è pronto ad assicurare a Napolitano che il Carroccio non ha alcuna intenzione di perseguire vie «non democratiche» ma ribadirà pure le sue perplessità su un dialogo ancora in alto mare. Perché - lo ha più volte detto ai suoi - «il problema sta soprattutto nellinterlocutore». Insomma, se confronto deve esserci - è il ragionamento del Senatùr - ci dicano con chi: se con la maggioranza parlamentare, il governo o i segretari di partito. Riflessione condita comunque da una buona dose di scetticismo, dovuto alle resistenze di molti dei partiti dellUnione (Prc, Pdci, Verdi, Italia dei Valori).
Insomma, se pure molti degli uomini che gli sono più vicini parlano di un Bossi «niente affatto fiducioso» sul fronte del dialogo, è chiaro che il leader della Lega non si lascerà sfuggire loccasione «per andare a vedere tutte le carte sul tavolo». Daltra parte, pure Silvio Berlusconi (in serata anche lui potrebbe incontrare Napolitano in prefettura) non ha nascosto tutte le sue perplessità su un eventuale confronto con lUnione. E tra i due lasse pare ancora molto saldo. Ancora qualche giorno fa, durante il Consiglio nazionale della Lega Lombarda in via Bellerio, il Senatùr lo ha detto chiaramente: «A chi pensa che dovremmo lasciare ora la Cdl rispondo che è una cazzata!». E nella riunione con i 16 segretari provinciali (alcune province, vedi Milano e Brescia, sono suddivise fra tre o due segreterie) Bossi è stato molto netto anche sulle beghe interne. Ha squadrato tutti uno per uno e poi è sbottato: «Qualcuno dice che devo dimettermi, ma con quelle facce lì dove pensate di andare...».
Il Senatùr, dunque, proprio come accadeva nei tempi migliori sta giocando una doppia partita. Quella esterna, sul fronte riforme, con il tentativo di dialogo con lUnione. E quella interna, contro chi nel partito chiede un «aggiustamento» della classe dirigente e quindi i congressi regionali (che nel Carroccio chiamano «nazionali») per ridisegnare le gerarchie di via Bellerio. Una partita che Bossi pare intenzionato a giocare solo quando avrà in mano le carte giuste.
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