Laura Cesaretti
da Roma
«Circostanziate e gravi minacce» contro gli italiani presenti a Teheran, a cominciare da quelli che lavorano nella nostra ambasciata: è per questo allarme, definito assai «fondato» da fonti del governo, che i ministri che avevano dato la propria adesione alla fiaccolata pro-Israele davanti allambasciata iraniana a Roma, indetta ieri dal Foglio, hanno comunicato la propria defezione. Per disinnescare le «minacce di rappresaglie», spiegano alla Farnesina, che secondo «notizie attendibili» sono state ventilate contro i nostri connazionali in Iran.
«Mi asterrò dal partecipare fisicamente», ha annunciato il titolare della Farnesina Gianfranco Fini a metà pomeriggio di ieri, «per senso di responsabilità istituzionale e per non dare pretesto o alibi, per quanto immotivati, ai fautori della istigazione all'odio». Una «decisione sofferta», confessa, augurandosi che essa «renda ancor più chiara la vera natura del regime iraniano». Ma una decisione necessaria, spiega, perché il capo della diplomazia italiana ritiene di avere «serie e motivate ragioni» per pensare che la sua presenza, in veste di ministro degli Esteri, potrebbe determinare da parte iraniana «conseguenze lesive dei nostri interessi nazionali e della sicurezza dei nostri connazionali». E Silvio Berlusconi approva la scelta di Fini: «Devo fargli i complimenti per il suo senso di responsabilità. Condivido pienamente la sua decisione», ha dichiarato il premier ieri sera. Nel frattempo, anche il ministro della Difesa Antonio Martino comunicava di aver rinunciato alla presenza in piazza sotto lambasciata iraniana: «Recependo le indicazioni di Palazzo Chigi e della Farnesina, il ministro si vede costretto con estremo rammarico - si legge in un comunicato della Difesa - a rinunziare ad essere fisicamente presente alla fiaccolata in favore dello Stato di Israele». Tutto ciò, anche se «i suoi sentimenti di profonda amicizia per Israele e la sua riprovazione per le minacce ad esso rivolte permangono immutate». La decisione «travagliata» di Martino è conseguente, si spiega, «soprattutto alla volontà di non alimentare altre ed incontrollabili manifestazioni di odio e intolleranza».
Niente esponenti del governo in piazza, dunque (con leccezione del leghista Calderoli, quello che voleva dichiarare guerra «subito» a Teheran). E nemmeno il leader dellUnione Romano Prodi, che ha preferito evitare una fiaccolata che ha diviso il centrosinistra e dedicarsi a unopera di «diplomazia parallela» (così definita dal suo staff) parlando con gli ambasciatori di Israele e dellIran. Mentre Piero Fassino e Massimo DAlema, che alla fiaccolata promossa da Giuliano Ferrara hanno partecipato, si davano da fare per spiegare che non cè nessuna spaccatura nel centrosinistra sulla politica estera, e in particolare sulla difesa dello Stato di Israele. Poco male se Rifondazione, Pdci e gran parte dei Verdi hanno rifiutato di aderire alla manifestazione di ieri: «Bertinotti è andato mercoledì davanti all'ambasciata iraniana per protestare - ha tagliato corto DAlema - sono assolutamente false le notizie che raccontano di un centrosinistra diviso». Ma a sera, dopo il successo della manifestazione, il presidente ds ha constatato: «Bertinotti ha commesso un errore a non essere qui». Piazza gremita di fiaccole e bandiere israeliane, ieri a Roma. Oltre diecimila cittadini comuni, e molti esponenti politici di ogni parte: da Follini a Pannella, da La Russa a Pecoraro a Bondi. «Una manifestazione meticcia», ironizzava il deus ex machina Ferrara, accolto da applausi. «È naturale, in una città di dialogo e di incontro come Roma», commentava il sindaco Veltroni.
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