Vino kosher, la bevanda sacra della religione ebraica

Nella religione ebraica gli osservanti possono consumare il vino, considerato elemento sacro, solo se la bevanda è kosher, cioè pura e adatta, secondo le regole presenti nella Torah. Ecco come si produce un vino kosher

Vino kosher, la bevanda sacra della religione ebraica

Nella religione ebraica il consumo di vino è legato alle celebrazioni: dal battesimo, alla circoncisone, al matrimonio fino al funerale.

Un simbolo di liberazione, creazione e letizia.

Una bevanda sacra che per essere kosher (o kashér),

cioè pura e adatta al consumo, deve però essere prodotta e vinificata secondo i principi “kosherut”, ovvero le regole alimentari e i dettami per la preparazione dei cibi stabiliti dall’Ebraismo, presenti nella Torah.

Ma che cosa ha questo vino di diverso rispetto agli altri? Apparentemente nulla che si possa distinguere attraverso i sensi durante una degustazione.

Un vino kasher si riconosce dai loghi della certificazione presenti sulla bottiglia e dal tappo in sughero con la dicitura in lettere ebraiche “kosher.”

É la sua lavorazione, successiva alla vendemmia, che deve avvenire secondo rigide regole, che lo differenza dal resto.

L’uva, infatti, se sana, è per sua natura kosher e perciò “adatta” ma, una volta arrivata in cantina, per mantenere il suo status, potrà essere manipolata solo da ebrei praticanti, delegati dei rabbini.

Tutto il materiale e gli strumenti utilizzati durante la produzione di vino dovranno essere “koscherizzati”, risciacquati con acqua calda dopo un’accurata pulizia con la soda per i tini d’acciaio, mentre le barriques di legno e i recipienti di cemento andranno riempiti e poi svuotati tre volte in 24 ore per assicurarsi che nulla di impuro sia rimasto al loro interno.

E gli ingredienti (come le proteine animali o la colla di pesce) utilizzati per la chiarificazione o la stabilizzazione del vino dovranno allo stesso modo essere kosher.

Ogni fase sarà seguita con attenzione e alla fine dei vari passaggi verranno apposti dei sigilli per certificare l’integrità, la purezza e la conformità del prodotto, secondo i dettami della Torah.

Il vino, solo dopo essere stato imbottigliato, potrà essere maneggiato e trasportato anche da persone non osservati o di altre confessioni. La sua purezza è salva.

Alcune aziende che producono vino kosher, dopo il non semplice iter affrontato per ottenere tutte le autorizzazioni, aderendo per esempio ad una comunità ebraica, si sono convinte che dedicare un’area alla vinificazione kosher, senza commistioni con il resto della produzione, potesse essere la strada più percorribile, così da limitare l’uso di acqua e rendere sostenibile la produzione evitando di compiere lunghi e costosi passaggi.

Oggi i vini kosher vengono prodotti anche fuori Israele, in molte nazioni europee come l’Italia e la Francia per esempio, dove qualche nome importante di champagne si è aperto un varco verso il fiorente mercato di nicchia.

E mentre il mondo del vino “tradizionale” nei giorni di vendemmia e in quelli frenetici di lavorazione compie tutti i passaggi senza sosta, domeniche e feste comandate comprese, nell’Ebraismo le regole, anche sul riposo, sono sacre.

I giorni di festa, molti dei quali sono concentrati nel mese di settembre che spesso coincide con il periodo più attivo per gli addetti ai lavori, o il sabato (shabbat) devono essere tutti santificati.

Se ci sarà del lavoro urgente lo si anticiperà, o, terminato il riposo, si cercherà di recuperare il tempo perduto.

ll vino può attendere.

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