Ho incontrato Bonhoeffer più di 30 anni fa sulla strada di una prima ricognizione sulla teologia contemporanea (cattolica e protestante). Lho incontrato da filosofo - e quindi non sulla base di unaffinata competenza tecnica - ma sulla spinta di una riproposizione dellurgenza del messaggio cristiano e di una volontà di abbattere i bastioni disciplinari diffusisi dopo il 68. Poi lho studiato sulla scia dellentusiasmo che la sua severa e impegnativa visione del cristianesimo proponeva. \ Egli non ha voluto far filosofia, anzi, soprattutto nei suoi primi scritti accademici ha accuratamente distinto, ed anzi opposto, teologia e filosofia. Nondimeno ha posto questioni che da allora appaiono non irrilevanti alla filosofia. \
Che Bonhoeffer appartenga a pieno titolo ai pensatori della modernità è anzitutto un fatto, che può difficilmente essere smentito. Egli è moderno per le analisi che fornisce della genesi delletà moderna, incentrata come sappiamo sui temi del mondo divenuto adulto e della secolarizzazione. Egli è moderno per leco che in lui trovano autori come Feuerbach e Nietzsche, di cui riprende le sfide atee e il rifiuto di ogni soprannaturalismo. Egli è moderno per la centralità decisiva che attribuisce alletica, una sorta di luogo massimo, in cui, nonostante la precarietà che al sapere etico si può ascrivere, si confrontano e scontrano tutte le questioni che sono decisive per luomo. Egli, infine, è moderno per \ lattribuzione alla teologia del compito di essere un sapere che si misura sulle urgenze delloggi, che tenta la paradossale coniugazione di oggi ed eternità.
Ma a questo fatto soggiace uninterpretazione, che costituisce, a mio parere, unessenziale condizione per pensare adeguatamente la modernità. Il moderno non è solo lattualità delloggi, né lenfasi del nuovo o laccelerazione del tempo: è anzitutto lirrevocabilità di questo processo. Come direbbe Bonhoeffer, la lunga strada per il paese dei bambini, quella strada che torna indietro a prima della modernità, indietro allo spazio protetto del medioevo, alleteronomia nella forma del clericalismo, questa strada non cè, non cè più: è perduta per sempre (il che, si badi, non va preso come una profezia, puntualmente smentita dagli sviluppi successivi inopinatamente risacralizzanti e panreligiosi, ma per quello che è: uninterpretazione, che dichiara destituita di verità - una verità che pur in altri tempi ebbe - quella strada piegata allindietro). La strada è interrotta, anzi è sbarrata: una tensione, anzi una cesura, è intervenuta, una cesura che interrompe la continuità e che pervade il nostro tempo nella forma di uninsicurezza e di una tensione quasi insopportabili. E infatti mentre il moderno, nel suo primo apparire, ha sperimentato questa discontinuità come una liberazione, la modernità compiuta se nè talmente allarmata, da spuntarne il doloroso parossismo nella facile via duscita dun nichilismo consolatorio, che per paura del nulla lo anticipa, ottundendone langoscia immanente.
A fronte di questo fatto e sulla scorta di questinterpretazione Bonhoeffer osa un passo ulteriore: la rivendicazione teologica del moderno. Proprio lonestà intellettuale, che costituiva il Leitmotiv del luogo, appena richiamato, in cui si negava la possibilità di un ritorno allindietro sulla lunga, rassicurante strada del paese dei bambini, induce a un passo ulteriore, quello che Bonhoeffer, riecheggiando la dialettica di ultimo e penultimo, chiama onestà estrema (ma il termine tedesco è semplicemente onestà ultima: ché lultimo è lestremo del penultimo). Questa onestà estrema non ha motivazioni storiche, non corrisponde a unanalisi immanente dellevoluzione storica e culturale (come mostra lesemplare analisi bonhoefferiana dellilluminismo e del connesso ateismo), ma ha un preciso radicamento teologico. Lesito storico produce il riconoscimento che «dobbiamo vivere nel mondo etsi deus non daretur»; linterpretazione, secondo onestà intellettuale, di questo fatto non occulta lenorme tensione che esso introduce; ma la rivendicazione teologica ci dice che questo riconoscimento «avviene al cospetto di Dio». Questo riconoscimento non ottunde, né risolve la tensione, ma la protegge, la trattiene, ne costituisce la vera ed estrema apertura.
La rivendicazione bonhoefferiana, allora, non chiude, ma rilancia il discorso e lascia in eredità (le eredità possono essere rifiutate o accettate; in ogni caso non possono solo essere continuate, ma devono essere riprese) unenorme produttiva tensione, un lascito per credenti e non credenti, una modalità di pensare allaltezza della modernità, perché non totalmente incapsulata in essa: «Da tempo amo in modo particolare il periodo tra la Pasqua e lAscensione. Anche qui si tratta di una grande tensione. Ma come possono gli uomini far fronte alle tensioni terrene, se non sanno nulla della tensione tra cielo e terra».
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