da Milano
Nel pomeriggio di ieri ci ha pensato Guido Rossi. Lavvocato con la passione della Procure e con lodio per i patti di sindacato a Radiocor ha benedetto: «Quello di Mieli è un atto di straordinaria libertà». Ammettendo, contro le sue stesse teorie, che in fondo anche un patto di sindacato stretto, come quello che regge Rcs, non è poi così male. E sì, perché, Mieli di padroni ne ha 15: tutti raccolti in un sindacato, con il precipuo compito di stabilire, quando capita, il direttore del quotidiano. Un tempo per decidere bastava il sopracciglio di Cuccia, e il giudizio dellavvocato Agnelli. Poi la golden share di via Solferino (il diritto di decidere anche senza i voti necessari) è passata a Cesare Romiti. Ma il mondo stava cambiando: la Fiat senza gli Agnelli, Mediobanca senza Cuccia, Romiti con troppi figli e troppe azioni Rcs. E Romiti capitola.
La golden share in un Consiglio di amministrazione di metà dicembre 2004 passa nuovamente di mano. Sul banco dei perdenti in quelloccasione Giovanni Bazoli, il potente numero uno di Banca Intesa, che nel frattempo aveva preso il testimone. Saggio e riservato, non era riuscito, con la direzione Folli da lui scelta, e con i vertici amministrativi, a lui vicini, a garantire gli equilibri di via Solferino. Anzi era riuscito, in una paradossale eterogenesi dei fini, a coagulare una variopinta fronda: con Capitalia, Mediobanca e Montezemolo decisi nel trovare un assetto diverso. Per la prima volta si sancì che di golden share non se ne davano più a nessuno. Bazoli non era lAvvocato. E finalmente il principio di «una testa un voto» vigente nello statuto del patto, si sarebbe rispettato per davvero.
Così esce dal cappello la direzione Mieli: quasi una riserva della «Repubblica» che potesse mettere in fila i diversi soci e affrancare il Corriere dalla mancanza di un vero padrone.
Il fatto è che Mieli ha creduto veramente al suo ruolo. Il direttore si è preso sul serio. Ha difeso l«istituzione» dagli attacchi dei finanzieri dassalto (salvando così implicitamente il management di origine bazoliana dal repulisti) e ieri con il suo editoriale ha di nuovo mischiato le carte. Qualche asso lo ha riservato al prodiano Bazoli, che pure meno lo amava. Il fatto poi che nel difficile equilibrio della finanza milanese, il presidente di Banca Intesa stia guadagnando posizioni è un dettaglio. Così come le difficoltà di Capitalia e del suo presidente Geronzi (interdetto a causa delle vicende Parmalat) non sono da mettere direttamente in relazione. Ma gli è che Bazoli ha in testa laggregazione tra Intesa, Capitalia, e dunque Mediobanca e Generali.
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