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Un italiano arruolato in Francia: la storia del legionario Perrini

Per gentile concessione della casa editrice Diarkos pubblichiamo un estratto del nuovo libro di Danilo Pagliaro e Alessandro Cipolla, «O tutti o nessuno!». Vita da legionario. Un italiano nella legione straniera

Un italiano arruolato in Francia: la storia del legionario Perrini

Per gentile concessione della casa editrice Diarkos pubblichiamo un estratto del nuovo libro di Danilo Pagliaro e Alessandro Cipolla, «O tutti o nessuno!». Vita da legionario. Un italiano nella legione straniera

Mi ero presentato alle porte della Legione la prima volta al centro di arruolamento di Fort Saint-Nicolas, a Marsiglia. Non posso negare che oltrepassare quella linea, in un forte vecchio più di trecento anni, avesse il suo fascino. Intere generazioni di legionari erano passati di lì, tra cui personaggi leggendari, come il principe georgiano Dimitri Amilakvari, il colonnello Philippe Erulin, il tenente colonnello Pierre Paul Jeanpierre.

Si bussava, si chiedeva l’arruolamento e ti portavano dentro per le visite mediche e la selezione. All’interno c’è un molo e da lì, per gli arruolati, l’imbarco diretto per l’Algeria. Ils étaient tous passés par le même chemin. Avevano fatto tutti lo stesso percorso. Traversai il cancello che tagliava il muro di mattoncini marroni e calpestai lo stesso suolo dove erano passati loro. Ma scoprii che c’erano dei cambiamenti in corso, e da lì fui spedito al centro di Malmousque, dove avrei potuto chiedere di essere arruolato. Non lo presi come un presagio, ma in quella occasione mi rimandarono a casa, con la possibilità di ripresentarmi con un po’ più di allenamento. Avevo fallito il test di Cooper,
inventato dall’omonimo medico della Nasa. Il test era piaciuto ai militari, perché rende bene il grado di resistenza dell’individuo alla fatica e il suo allenamento.

Si tratta di correre su una pista d’atletica ininterrottamente per dodici minuti. Poi si valuta la distanza percorsa secondo una tabella su cui influisce anche l’età. Appena entrato in caserma, comunque, mentre preparavano il mio fascicolo, avevo dovuto aspettare in una stanza a sei letti. Ero in borghese, non conoscevo i gradi dell’esercito francese o i loro distintivi e per loro ero ancora un estraneo, quindi l’indicazione tassativa era di rimanere seduto o sdraiato sul letto. Assolutamente vietato andare in giro e soprattutto parlare. Vista la varietà di uomini di ogni razza, mestiere e provenienza che si presentano ogni giorno per essere arruolati, era normale. Eravamo in una caserma, non in un liceo al momento della ricreazione.

Mi stesi sul letto. Era agosto, eravamo vicino alla spiaggia. C’era una finestra tagliata nella parete bianca, veniva una luce accecante e vedevo il cielo di un blu intenso. Sentivo l’odore del mare e la gente che camminava verso la sabbia. Cosa che avevo fatto mille volte anche io e che avrei fatto anche dopo, ma che al momento sembrava appartenere ad un altro me, che avevo sorpassato, che non c’era più. Ero in una specie di monastero o, forse, di prigione che avevo scelto da solo, e dipendevo da una volontà che non era la mia. Ero così vicino, ma la parete che mi divideva da quelle persone, in realtà, era la cesura definitiva, la separazione tra due vite.

In quel primo tentativo di arruolamento io e Sophie, mia moglie, avevamo provato che cosa voleva dire partire sapendo che non avremmo potuto comunicare per alcuni mesi.

Avrei riprovato l’arruolamento nel mese di dicembre.

E così era stato.

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