
Gli sconfinamenti russi lungo la frontiera Est della Nato sono in aumento, segno di una strategia delle forze russe. Mosca sta testando tempi e modi di reazione dei Paesi europei. Una strategia pericolosa soprattutto per la farraginosità con cui si muovono gli stati europei. Ne abbiamo parlato con Mauro Gilli professore di strategia e tecnologia militare all'Hertie School di Berlino.
Negli nell’ultimo periodo abbiamo visto i droni in Polonia, gli sconfinamenti in Estonia e altri fenomeni simili: come possiamo leggere questo cambio di marcia della Russia?
"Ci sono due interpretazioni possibili. La prima e più ottimista vede queste incursioni come delle semplici provocazioni da parte della Russia, cose che ha sempre fatto, pensiamo allo stesso jemming dei segnali satellitari che ormai dal 2022 crea problemi nel Mar Baltico e per i Paesi nord orientali. Quella più pessimista, che mi sento di condividere, vede in queste incursioni un tentativo della Russia di vedere come risponde l'Europa, cioè di vedere se l'Europa parla solo oppure se è disposta a far seguire i fatti alle dichiarazioni solenni. Purtroppo in questa circostanza il comportamento dell'Europa sembra molto tentennante. Pensiamo invece a 10 anni fa, ovvero quando la Russia faceva delle incursioni sul territorio turco, la Turchia ha protestato e al quarto episodio ha battuto il caccia russo e da allora le incursioni sono terminate. Lenin aveva una frase, vai con la baionetta, se senti il metallo fermati, se senti morbido, continua ad avanzare. E quindi da questo punto di vista c'è obiettivamente da preoccuparsi perché cosa potrebbe dar seguito ad attività ancora più pericolose da parte della Russia".
Le incursioni russe fanno parte di un'escalation?
"Dipende da come vogliamo interpretare i fatti. Da un lato possiamo dire che l'escalation non c'è ancora e ci sarà solo se noi rispondiamo. Ma il comportamento russo è parte stessa dell’escalation. L'approccio russo è quello del bullo che vuole intimidire gli altri per ottenere dei lasciapassare e quindi con questo atteggiamento dice "Io sono convinto che voi non farete nulla. Ci sarà sicuramente qualcuno che negherà questo fatto, che dirà che sono incidenti, e identificherà nella risposta l'escalation. Ma se siamo persone ragionevoli, non possiamo separare le due cose. Chiaramente è la Russia che sta tentando di aumentare la pressione".
Questo atteggiamento è collegato all'incontro tra Putin e Trump del 15 agosto?
"Non possiamo sapere se fattualmente le due cose sono collegate, però se noi colleghiamo queste incursioni e le mettiamo nella prospettiva degli attacchi missilistici di droni contro l’Ucraina, notiamo un rafforzamento dell'aggressività russa. E su questo possiamo fare delle congetture. Una è che la Russia sostanzialmente abbia capito che l'amministrazione Trump è abbastanza indifferente o comunque non sarà così reattiva nei suoi confronti. L’altra, che la Russia di Putin ci sta dicendo: "Vedete, noi possiamo fare quello che che vogliamo.”
Quali sono i rischi maggiori per i membri europei della NATO?
"Conta molto l'arco temporale che vogliamo considerare. Se il nostro arco temporale lo misuriamo in settimane il rischio maggiore è quello dell’abbattimento di un caccia o drone russo che provoca delle vittime in Paese occidentale e la tensione aumenta. Se guardiamo nell'arco nei prossimi cinque anni, il pericolo che io vedo è quello di un rafforzamento della posizione della Russia per semplice debolezza europea. Un principio cardine della deterrenza e che deve essere credibile. Noi possiamo avere tutte le armi che vogliamo, possiamo avere tutto l'addestramento che vogliamo, ma se il nostro avversario non ci ritiene credibili, c’è poco da fare. Se la Russia ritiene che la minaccia di risposta europea non è credibile, ha un forte incentivo a continuare con queste azioni. Pensiamo la guerra ucraina, la guerra l'invasione dell'Ucraina nel 2022. La Russia ha agito così perché sapeva che comunque la reazione occidentale sarebbe stata tutta sommato debole. Purtroppo ora mi pare che queste considerazioni manchino, non voglio dire totalmente, ma in buona parte da come la Leadership Europea approccia la questione russa".
Come valuta l'iniziativa come Sentinella dell’Est?
"Non non mi sento di criticare questa operazione perché fa qualcosa di necessario, ma questo necessario non è poi sufficiente".
Cosa dovrebbe fare l'Europa per per colmare il gap con la Russia?
"Da una parte c'è il gap tecnologico, ma non tanto, e un divario sicuramente militare per quanto riguarda comparti diversi. Pensiamo ad esempio alle munizioni. I paesi NATO europei avrebbero, vado a memoria, hanno qualcosa come un uno stock di munizioni uguale al 5% di quello necessario per difendere i paesi dell'Est. Chiaramente c'è un grande problema. Significa che la Russia se iniziasse a fare quello che fa in Ucraina in tempi molto rapidi, finirebbero i missili intercettori. Ma mancano anche missili a lungo raggio. Analogamente ci sono carenze in quei sistemi di cui si parla poco, ma che sono assolutamente fondamentali, come i sistemi di comunicazione a lungo raggio, i sistemi di avvistamento, gli aerei militari AWACS che hanno dei sensori molto potenti che permettono di identificare gli obiettivi da colpire. Se abbiamo i missili a lungo raggio ad alta precisione, ma non abbiamo un sistema che ci permette di identificare qual è l'obiettivo da colpire dei missili a lungo raggio non ce ne facciamo niente. E poi c’è l'addestramento, il numero di soldati. Tutte cose che vanno discusse perché l'Europa senza il supporto americano è davvero in difficoltà".
Sembra non ci sia nemmeno una discussione su quali linee rosse tenere.
"Sì, c'è l'altro punto di cui non si parla a sufficienza ovvero il fatto che a livello politico-istituzionale, se l'Europa colmasse queste sue debolezze materiali, rimarrebbe poi il problema di comunicare in modo efficace e chiaro alla Russia che nel caso si superassero alcune linee rosse, l'Europa non esiterebbe e a rispondere. O attraverso una forma di deterrenza per punizione o di deterrenza da diniego. Cioè, iniziano a partire i missili. ll problema è che i paesi europei vogliono sostanzialmente compensare la mancanza di questo secondo aspetto investendo. Il problema è doppio perché se noi investiamo tutti questi soldi per tecnologie che tanto poi non useremo, allora stiamo buttando via dei soldi. La Russia conosce benissimo le nostre debolezze e nelle ultime settimane vuole vedere che carte ha l'Europa, non quelle materiali, ma quelle di volontà politica, di far seguito ai propri impegni, mi pare non siano quelli che dovrebbero essere".
Uno dei temi più delicati dimostrato dall’incursione in Polonia e dall’attuale fase del conflitto in Ucraina riguarda l’utilizzo di droni, Qual è lo stato dell’arte della drone warfare
"Serve una premessa, con la parola droni intendiamo assetti diversi che vanno dal drone che si compra in un negozio di elettronica per €400 fino Global Hawk americano che costa 140-180 milioni di di euro. Soffermandoci sugli Shahed. Nella strategia russa questi missili hanno un paio di scopi. Quello principale è di obbligare l'Ucraina a sprecare missili intercettori, facendo leva sulla disparità di costi tra i due. L'altro è chiaramente quello di imporre costi umani e distruzione in modo molto semplice all'Ucraina per costringerla a cedere".
La sensazione che si ha difronte agli attacchi con gli Shahed è quella di un mezzo difficile da fermare, quindi le chiedo, esistono in questo momento sistemi difensivi che proteggano da questo tipo di attacchi?
"Ci sono tecnologie che esistono e che basta impiegare. È il caso dei Tucano brasiliani su cui possiamo montare mitragliatrici, sono aerei che volano a velocità sufficientemente bassa, per cui non hanno il problema dei caccia. Stesso discorso per gli elicotteri. Delle aziende stanno sviluppando dei missili di intercettori con di un costo molto più basso, che quindi andrebbero a risolvere in parte questo problema. Poi ci sono altre armi che si possono usare, pensiamo allo stesso tipo di missile dello Stinger montato su veicoli, tipo quelli di Rheinmetall. Poi ci sono sistemi come Direct Energy Weapons o High Energy Laser anche se hanno delle limitazioni perché per i laser ad alta potenza ti servono prima una un generatore di energia stabile e sono soggetti alle condizioni atmosferiche. Ovviamente non c'è una soluzione che ci garantisca sicurezza al 100% ma tra le tecnologie esistenti e tecnologie che stanno diventando reali c'è il modo di limitarne l’efficacia".
E usare droni contro gli Shahed?
"Sì, è possibile. Noi possiamo utilizzare sviluppare dei droni che magari con un costo un leggermente superiore, ma relativamente accessibile, possiamo eliminarli o comunque ridurre la loro pericolosità. L’Ucraina, ad esempio, li fa e anche la Russia, cioè ci sono questi video di ora, non per gli Shahed, ma per droni FPV, si vedono questi video dove c'è un drone che sgancia una rete e quindi interferisce con col drone nemico oppure altri che puntano il drone nemico e si schiantano contro. Per me è interessante perché è esattamente la stessa dinamica che abbiamo visto un secolo fa nello sviluppo dell'aviazione, cioè i primi aerei erano lenti volavano a bassa quota, poi c'è la la minaccia di terra che li costringe a volare a più alta quota, poi allora iniziano ad avere esserci caccia intercettori. E questa dinamica di misura e contromisura ha poi portato a un un aumento significativo delle performance, quindi poi della complessità".
Nel 2025 la Russia ha lanciato 34.000 attacchi coi droni, nove volte quelli dello stesso periodo dell'anno precedente. Come ha fatto Mosca a mettere in piedi questa macchina produttiva?
"Direi l’economicità è un indicatore della non sofisticazione della tecnologia, il basso costo ci dice che da un punto di vista prettamente industriale è relativamente semplice da produrre e quindi il grande vantaggio della Russia da questo punto di vista è esattamente questo che può mettere dei ragazzini di 17-20 anni o delle ragazze o degli anziani o gente senza grandi esperienza nel settore. Poi magari alcune sono comunque fatte da esperti, da lavoratori specializzati, perché non si può fare altrimenti, però se tu della produzione di uno di questi missili puoi allocarne l'80% l'85% a lavoratori non specializzati, quello fa una grande differenza".
Qual è il ritardo dell’Europa in questo ambito?
"Per quelli di basso livello, sul piano tecnico non ci sono ragioni per cui i paesi occidentali non possano produrli. I problemi emergono quando si discute di alcuni componenti chiave che non abbiamo, cioè non abbiamo i produttori che possono produrre un numero di motori sufficienti a generare questi. È il caso, ha scritto l’analista Fabian Hoffmann, dei motori a getto miniaturizzati, non ci sono limiti tecnologici, ma problemi sulla produzione in scala. La questione diventa avere la supply chain, quindi la catena del valore e che ti può generare questi questi missili. C’è però un ultimo punto che può essere sintetizzato con una domanda: "Questi droni che obiettivo avrebbero?” Se diciamo che devono avere alta precisione e allora iniziano ad esserci dei problemi perché questi droni sono economici proprio perché garantiscono alla Russia di coprire poter colpire uno spettro, cioè una città o un quartiere. Per l'Europa questo non sarebbe sufficiente. Quindi quando si discute di questi droni anche utile considerare in quale contesto li vorremmo usare e non sto dicendo che non servano, però bisogna avere chiaro qual è il fine ultimo, cioè lo se il fine noi vogliamo saturare le difese missilistiche russe per così da obbligarli a sprecare missile intercettori, ottimo.
Però ci serve qualcosa che se non viene intercettato di nuovo non vada a colpire le scuole o gli ospedali. Dobbiamo essere sicuri che vada a colpire l'obiettivo, un obiettivo militare, quindi si si pongono poi altre altre considerazioni".