
"Su google, alla parola memoria troviamo migliaia di voci, su oblio solo poche centinaia di lavori". Ed è proprio all'oblio che Sergio Della Sala, neuroscienziato di fama mondiale, presidente emerito del Cicap e professore di Neuroscienze cognitive all'Università di Edimburgo, ha dedicato decenni di studi che ora ha condensato, divulgativamente parlando, nel saggio Perché dimentichiamo. Una scienza dell'oblio (Feltrinelli, pagg. 206, euro 18).
Professor Della Sala, perché proprio l'oblio?
"Nella storia delle neuroscienze è sempre stato considerato il lato negativo ma, negli ultimi anni, è stata restituita dignità cognitiva a una dimensione che è una funzione specifica e che ci permette di vivere in questo ambiente. L'oblio non è l'opposto della memoria".
Ce lo dicono già i miti antichi?
"Ce n'è uno molto bello, degli antichi greci, secondo cui Mnemosine, la dea della memoria, si accompagna a Lete, la dea dell'oblio, ed entrambe sono fonti d'acqua, fiumi che si intersecano e si confondono, così che le persone possano compiere le loro scelte. Ed è proprio quello che hanno capito le neuroscienze, ovvero che, senza l'oblio, non potremmo avere una memoria: l'oblio è una funzione della memoria stessa, una strategia evolutiva".
In che modo?
"Se un cameriere non dimenticasse gli ordini che ha preso in precedenza, come potrebbe portare il caffè giusto? O se ricordassi ogni numero di stanza d'albergo in cui ho soggiornato, come potrei ricordarmi quello di oggi? Dimenticare serve a sfrondare, riducendo i dettagli e permettendoci di pensare, perché solo sfrondando quello che l'ambiente ci mostra possiamo fare delle categorie e, per esempio, nel momento in cui cammino e vedo qualcosa a quattro zampe, identificarlo con un cane. Certo, questo fare delle categorie ha un costo, in termini di costruzione di bias e di errori, ma ne abbiamo bisogno per agire velocemente rispetto all'ambiente e sopravvivere".
Quindi certe défaillance non sono così gravi?
"Il cervello umano commette degli errori perché è volto a sopravvivere nell'ambiente e si sviluppa per farci immaginare il futuro. Senza la possibilità di dimenticare non avremmo né una buona memoria, né la capacità di ragionamento. Lo sappiamo anche grazie ai pazienti neurologici, persone con memorie naturalmente prodigiose, e ce lo ha raccontato Borges con il personaggio di Funes, el memorioso, che cade da cavallo e non dimentica più nulla, ed è una tragedia perché, pur essendo in grado di ricordare tutte le singole foglie di un albero, è incapace di elaborare il concetto di albero. Se ricordi tutti i dettagli non sei in grado di fare un riassunto e di ragionare. Non dimenticare non è un lusso, è un problema".
Perché è così difficile rendersene conto?
"È qualcosa di nuovo anche per le neuroscienze, infatti solo di recente sono stati realizzati esperimenti sulla dimenticanza, da cui sono emersi risultati controintuitivi: se impari di più ricordi di più, ma poi dimentichi altrettanto. I dati sono molto variabili, ma esiste una curva dell'oblio per cui, una volta imparato qualcosa, la dimentichiamo non in modo progressivo, bensì c'è uno scivolo dritto e impetuoso all'inizio e poi c'è un periodo di mantenimento più lungo. Perciò, per evitarlo, devo mantenere attivo quello che voglio ricordare".
Come si fa?
"Per esempio, dopo una lezione, mi prendo cinque minuti per dirmi o scrivermi che cosa ho imparato, e poi lo ripeto ancora, per contrastare quella caduta rapida dell'apprendimento: così consolido il ricordare, non verbatim, ma rielaborandolo e facendolo mio. Imparare che cosa è l'oblio e gli aspetti pratici che lo caratterizzano ci rende anche meno colpevoli di dimenticare: tutti dimentichiamo, ed è normale, anzi, sarebbe anormale non farlo".
Sfata anche certi miti, nel libro.
"Con Piero Angela fondai il Cicap... Così mi occupo anche di certe trappole di finta conoscenza, come la memoria fotografica, o il fatto che usiamo soltanto il dieci per cento del nostro cervello, o il cervello rettile: sono fole senza senso. O che non bisogna imparare a memoria le poesie: bisogna. O l'intelligenza emotiva".
La memoria emotiva esiste?
"Se provo un'emozione, essa influenza quello che faccio o ricordo, in modi diversi e in aree cerebrali diverse. Le faccio un esempio. Molti dicono: Ricordo benissimo dov'ero l'11 settembre, ma molti studi dimostrano il contrario. Perfino Bush disse di avere visto il primo aereo distruggere la Torre in televisione, ma è impossibile, perché quel video fu trasmesso solo successivamente. Eppure lui ne era convintissimo, come migliaia di altre persone. Siamo soggetti a false memorie".
Perché?
"Perché quello che ricordiamo e non ricordiamo è sempre una ricostruzione: i ricordi sono plastici e li rimodelliamo in continuazione, ogni volta che li facciamo riaffiorare".
La cosa più importante per cui ci serve dimenticare?
"Togliere la marea di informazioni per comprendere il mondo davanti a noi e fare un riassunto dell'esistenza. Anche la creatività è una conseguenza del dimenticare: se non dimenticassimo non potremmo costruire niente di nuovo, perché saremmo sommersi da microinformazioni che non ci permetterebbero di costruire una realtà nuova".
Però l'oblio ci fa tanta paura.
"I poeti dicevano che dimenticare è una piccola morte... Ma la dimenticanza, nella normalità, è vita: è la capacità di andare avanti a vivere".