Dopo lo sdoganamento dellitalico «vaffanculo», sancito dalla Cassazione settimana scorsa, ora è la volta del romanesco «cazzaro». I giudici assolvono le parolacce. Amen, così sia. Con buona pace dellAccademia della crusca. Il turpiloquio sta diventando così diffuso da rientrare a buon diritto nel cosiddetto «linguaggio comune». Italiano puro, dignità di citazione nel Devoto Oli. O, quantomeno, nel dizionario di borgata. Perché «cazzaro» è da vero romanaccio. Anzi, da vero romanista. Era stato, infatti, lex allenatore della Roma, Bruno Conti, insieme al dirigente Daniele Pradè, a dare, nel 2005, del «cazzaro» al giornalista Rai Fabrizio Failla, dopo una partita di Coppa Italia dei giallorossi contro lInter a Milano. Pomo della discordia, «il pupone», alias, il capitano Francesco Totti. Il giocatore aveva confidato a Failla, lontano dal microfono, «Guarda, non so neanche se rimango qui il prossimo anno, quindi non dico nulla». Frase che il giornalista riferì in diretta dalle telecamere Rai. Scatenando lira di Conti e Pradè, che lo apostrofarono così: «Ti sei inventato tutto perché sei un gran cazzaro. Che cosa ti permetti di dire su Totti?». Che, rompendo il silenzio stampa, rincarò la dose, definendo pure lui «cazzaro» il giornalista, in successive interviste rilasciate ad altre emittenti. Come nel miglior copione dellItalia rissosa, segue querela per Totti e per tutti. Ma Maurizio Caivano, il gip del tribunale di Roma che ieri ha archiviato il caso, non ha dato ragione al giornalista insultato. Insomma, «cazzaro» è una «colorita espressione romanesca», «non è offensiva né lede la dignità del giornalista». Non è un insulto contro la persona, ma si limita a «disapprovare loperato di chi racconta sciocchezze e dà notizie non corrispondenti al vero». E poi, esiste sempre il «diritto di critica», come recita larticolo 21 della Costituzione. Anche con toni aspri, e, se non basta litaliano, cè sempre il dialetto per farsi capire. Ma un vero esperto non è daccordo con il giudice: «Ora cazzaro rischia di finire nella Treccani...», scherza Carlo Verdone, romano e romanista, giocoliere di vezzi e tic linguistici, e fotografo implacabile di macchiette umane. «Di espressioni come cazzaro, sinonimo di «sparaballe», - argomenta il regista di Un sacco bello - sono piene anche le poesie del Belli, ma la decisione del gip è più il segno di un degrado inarrestabile del linguaggio che tende ormai a metabolizzare immediatamente ogni slang e a renderlo istituzionale.
Allinizio certe espressioni mutuate da internet o dallinglese ci sembrano assurde, poi, di lì a poco, qualche dizionario decide di inglobarle e la frittata è fatta». Parola di uno che ci ha fatto ridere con tormentoni come «Lo famo strano?» e «Mhai flashato!».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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