Cultura e Spettacoli

Prima di dire «io» mettiamoci una mano sulla coscienza

Cosa vuol dire Io? E che cos’è la coscienza? O peggio: cos’è l’anima? Sono domande da mal di testa. Domande a cui molto spesso sfuggiamo rintanandoci nella quotidianità o a cui rispondiamo, legittimamente, a colpi di fede, di credenze. Peggio ancora se la domanda viene articolata in forme di questo tipo: io adesso sono io, ma anche dieci anni fa ero io, eppure l’io di dieci anni fa era molto diverso dall’io di oggi, come l’io di domani non sarà più l’io di oggi eppure sarà sempre me... Oppure: il cane sa di essere se stesso e pensa di avere un io? E il pesce rosso? E la zanzara? Dove inizia e dove finisce la coscienza di sé?
Bene, se non siete annegati nei pronomi, se tali questioni, da laici o da credenti, ve le ponete anche voi, se non vi è già venuta l’emicrania, il libro giusto per voi è Anelli nell’Io. Che cosa c’è al cuore della coscienza? (Mondadori, pagg. 508, euro 22, trad. F. Bianchini, M. Codogno, P. Turina) di Douglas Hofstadter. L’autore è uno dei migliori scienziati cognitivi degli Stati Uniti ed è diventato famosissimo vincendo un Pulitzer nel 1984 con un testo fondamentale sull’intelligenza artificiale e sui processi formali della mente, dal curioso titolo di Gödel, Escher, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante (Adelphi). Ora ritorna sul tema, concentrandosi soprattutto sulla questione dell’autopercezione, sulla formazione di quella quidditas che sta alla base dell’individuo. Lo fa analizzando tutti i paradossi conoscitivi e i meccanismi della mente che ci fanno catalogare gli input del mondo esterno e che a un certo punto costruiscono dentro di noi dei «miraggi che percepiscono se stessi».
Hofstadter spinge l’analisi logico-scientifica dei processi mentali ai suoi limiti estremi e riesce comunque a portarsi dietro il lettore grazie a un arditissimo sistema di metafore capaci di spiegare i paradossi del pensiero che pensa se stesso per darsi un’identità. Va detto che l’argomento resta arduo e richiede pazienza. Le cinquecento pagine vanno lette con calma e non divorate in tutta fretta. Il rischio, in caso contrario, è quello di ricordarsi solo alcuni singolari e divertenti passaggi del testo, come quelli sul carambio (metaforico bigliardo a bordi morbidi della nostra mente), o su alcuni geniali neologismi, come «mentalica statistica» e «pensodinamica». Invece i livelli di lettura sono tanti e ci vuole pazienza per metterli in relazione l’uno con l’altro. Una pazienza che deve essere inversamente proporzionale (soprattutto per analizzare i livelli più complessi del testo) alla propria familiarità con logica e matematica, soprattutto con il «logismo» di Bertrand Russell.
Lo sforzo, però, vale la candela, anche perché il libro spinge l’analisi psicologico-razional-scientifica sino al bordo di quel maelstrom tremendo che è la morte, la cancellazione del sé (almeno per i non credenti).

E, qualunque sia la propria convinzione religiosa, l’idea che le anime altrui (anche se le si chiama pattern) si riflettono nella nostra e che lì restano in forma di frammenti è non solo scientificamente interessante, ma anche poeticamente bellissima.

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