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Diritti sui brani, guerra tra discografici e radio

Milano Insomma, la questione galleggia da anni ma solo adesso diventa pubblica. Con un bel po’ di polemica. Discografici contro network radiofonici. O viceversa. Motivo: il prezzo dei diritti fonografici che ogni emittente deve versare in cambio della trasmissione di brani musicali. In sostanza, le canzoni sono dei discografici (in tutti i vari modi che qui è inutile elencare) e chi le utilizza paga. Riassunto. Nelle scorse settimane, il consorzio che rappresenta circa trecento aziende del settore (Scf) ha chiesto un adeguamento dei compensi in base alle medie europee a Rtl 102.5, Radio 105, Rds, Radio Monte Carlo, Virgin Radio, Radio Deejay, Radio Capital, M2O, Radio 101 e Radio Italia. In sostanza, il presidente Saverio Lupica ha spiegato che «i diritti riconosciuti dalle radio, calcolati sui ricavi lordi, erano l’1 per cento fino al 2006. Ora chiediamo che passino al 2 per cento, con il saldo degli arretrati che in quasi tre anni sono pari a cinque milioni di euro». Per fare un confronto, in Spagna i compensi sono del 2 per cento, in Francia e Gran Bretagna superano il 4, in Germania sono al 5.6 per cento.
A questa richiesta, secondo i discografici all’inizio di maggio i dieci network hanno risposto più o meno che non trasmetteranno nuovi brani. E in molti casi è così. Come si capisce, una situazione tesa, se non altro perché il settore musicale è in condizioni difficili se non disperate. Ieri lo stato maggiore della discografia, a partire da Enzo Mazza della Fimi fino a Marco Alboni della Emi, Massimo Giuliano della Warner, Filippo Sugar della Sugar, Alessandro Massara di Universal e Andrea Rosi della Sony, si è presentato per chiarire la situazione. «Non è una guerra contro le radio», ha detto Sugar. «Però il loro è un ricatto», ha precisato Alboni. Mazza è andato giù duro: «Le radio pagano più di energia elettrica che di diritti». Mentre Sugar ha concluso con un dettaglio contabile che di per sé fa riflettere: «Il fatturato aggregato delle dieci radio nazionali con cui ci stiamo confrontando è superiore di quasi il 50 per cento al fatturato globale dell’industria discografica italiana». Una forbice evidente ed è inevitabile che a breve si arrivi a un accordo, nonostante il clima sia ancora teso. Per esempio Lorenzo Suraci di Rtl 102.5, uno che la radio la fa con una passione d’altri tempi con risultati eccezionali, ha subito replicato che «Rtl 102.5 corrisponde alla società Scf il 3.5 per cento del fatturato lordo del cosiddetto “reddito fonogrammi” in base al contratto controfirmato il 29 ottobre 2004. L’ultima rata versata è del marzo 2010». Aggiungendo: «È oltremodo falso che le radio boicottino la nuova musica. Rtl 102.5 trasmette in questi giorni i nuovi dischi di Dalla e De Gregori, Renato Zero, Mario Biondi, Neffa, J Ax, Ddg e Prince Royce».


In ogni caso, il danno che subiscono gli artisti (a qualcuno dei quali qualche network ha anche proposto una liberatoria) è molto grave. Niente radio, molta meno visibilità. Meno visibilità, meno vendite. E nell’asfissia discografica degli ultimi anni, non è un dettaglio da far finta di niente.

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