Politica

Il discorso di Silvio Berlusconi al congresso del Pdl

Amiche carissime, cari amici, la sera del 2 dicembre 2006, in piazza San Giovanni a Roma, di fronte ai due milioni di italiani che per la prima volta, contro il governo delle sinistre e delle tasse, sventolavano insieme le bandiere di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e degli altri partiti moderati che, come noi, si riconoscono nei principi e nei valori della libertà mi vennero spontanee queste parole “Chi crede nella libertà non è mai solo”.

Le stesse parole le ripeto oggi qui per celebrare con voi l’avverarsi di un grande sogno: la nascita ufficiale del “Popolo della Libertà”, un movimento che in realtà è già nato, è già cresciuto, è già forte, è già vincente. Il Popolo della libertà già esiste perché è nato nella mente e nel cuore di milioni di italiani, che lo hanno voluto e costruito nelle piazze, nelle strade, nei gazebo, e poi l’hanno votato, superando di slancio le divisioni partitiche del passato. E’ un partito forte, il più grande per numero di consensi. E’ un partito vincente, che si è già affermato in modo splendido nelle urne il 13-14 aprile 2008, e poi al Comune di Roma, poi nel Friuli Venezia Giulia, poi in Sicilia, poi in Abruzzo e poi in Sardegna.

Oggi i sondaggi ci danno al 43 per cento. Puntiamo al 51 per cento. Sappiamo come arrivarci, sono sicuro che ci arriveremo. Siamo moltissimi a credere negli stessi ideali: non solo qui, ma in ogni Comune d’Italia, in ogni casa, nei luoghi dove si studia, dove si lavora, dove si produce, al Nord, al Centro, al Sud, nelle nostre Isole. Siamo un popolo operoso di donne e di uomini di tutte le età, giovani e meno giovani, che sanno essere tenaci e pazienti, che sanno essere umili e fieri, che credono nel futuro.

Siamo una forza positiva, un’energia costruttiva al servizio del Paese. Siamo il partito degli italiani, siamo il partito degli italiani di buon senso e di buona volontà, siamo il partito degli italiani che amano la libertà e vogliono restare liberi. Abbiamo già costruito qualcosa che prima non c’era, stiamo rendendo possibili in Italia il bipolarismo e la democrazia dell’alternanza. E’ stato grazie a noi che la sovranità è stata restituita nelle mani del popolo, rompendo definitivamente lo schema per il quale prima si prendevano i voti e poi si diceva con chi e per che cosa si intendeva governare.

Gli italiani lo hanno capito e hanno dimostrato di condividere il metodo democratico del bipolarismo e, in prospettiva, del bipartitismo come base del confronto politico e della governabilità, senza la quale è impossibile avviare e condurre a termine una vera stagione di riforme e di ammodernamento dell’Italia. I danni causati dalla mancanza di stabilità e di governabilità li conoscete. Dal 1948 ad oggi, la Repubblica italiana ha visto succedersi ben 57 governi diversi, circa uno all’anno, che invece di ammodernare l’Italia hanno prodotto il terzo debito pubblico al mondo, senza che la nostra sia la terza economia del mondo. Nei Paesi trainanti dell’Europa la stabilità dell’esecutivo è stata un dato costante. Per questo in quei Paesi c’è un debito pubblico che, in percentuale, è la metà del nostro.

Le ultime elezioni politiche sono state, finalmente, un passo importante verso la stabilità e la governabilità, verso la modernità politica. Grazie a una legge elettorale voluta da noi e ingiustamente denigrata dalla sinistra, il 70 per cento degli italiani ha votato per due soli partiti, il Partito della Libertà e il Partito Democratico. E’ un risultato di cui, gli italiani e noi, portiamo il merito insieme.

Dove non è riuscito il Palazzo, è riuscito il popolo. Dopo tante proposte di riforme istituzionali nel passato e dopo altrettanti fallimenti, per la prima volta si è attuata una riforma grazie all’intervento diretto del popolo, con le sue scelte di voto. E’ stato, è un capolavoro politico degli italiani e nostro, di cui dobbiamo andare orgogliosi.

Abbiamo deciso di chiamarci Popolo della Libertà. Lo abbiamo deciso – voglio ricordarlo a tutti – dopo aver chiesto alla nostra gente, ai nostri simpatizzanti, agli elettori che già in passato ci avevano dato la loro fiducia, ma soprattutto ai giovani, alle donne, agli uomini, alle persone di ogni età che si avvicinavano a noi per la prima volta con la speranza nella mente e nel cuore. Abbiamo chiesto a loro di indicarci se volessero essere un “popolo” oppure un “partito”, se volessero chiamarsi Popolo della Libertà o Partito della Libertà.

Fu quella, del 17 e 18 novembre 2007, una consultazione che vide affluire e registrarsi spontaneamente ai nostri gazebo milioni di italiani. Un popolo autentico, genuino, estraneo ai riti del Palazzo, perché non c’erano candidati prefabbricati da approvare e apparati e nomenklature da confermare, nulla insomma di paragonabile ai rituali a cui abbiamo assistito nelle varie primarie della sinistra. C’era esclusivamente una libera scelta da compiere. E la scelta ci ha dato a grandissima maggioranza questa precisa indicazione: dovevamo essere un “popolo”, prima ancora che un “partito”: il Popolo della Libertà.

Vi chiedo di riflettere sul significato di quel referendum. Popolo e libertà definiscono compiutamente la nostra identità. Dicono chi siamo. Perché popolo e perché libertà?

La nostra Costituzione, all’articolo 1, stabilisce: “La sovranità appartiene al popolo”. La carta fondativa del nostro Stato fin dalla prima riga si richiama al popolo. Lo ricordo a noi stessi, ma anche a quanti, dall’altra parte, si nascondono ogni volta dietro una strumentale difesa della Costituzione, quasi fosse una loro esclusiva proprietà. Salvo poi cambiarla in peggio o dimenticarsi di attuarla e di praticarla nelle loro scelte. Noi invece l’abbiamo fatto, e oggi lo rivendichiamo con orgoglio.

Ma il riferimento al popolo, termine così abusato dalla sinistra, ci riporta invece nel solco più ortodosso, più puro delle democrazie occidentali. Nel 1787 Benjamin Franklin, Thomas Jefferson, George Washington e gli altri padri fondatori degli Stati Uniti d’America vollero iniziare con queste parole la loro Costituzione, che era al tempo stesso una dichiarazione d’indipendenza e di libertà: “Noi, il popolo degli Stati Uniti”.

Anche la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino approvata in Francia nel 1789 pose al suo centro il popolo attraverso quattro principi: la libertà della persona, il diritto “inviolabile e sacro” alla proprietà, la sicurezza, la resistenza all’oppressione.

In Italia, negli anni tumultuosi del primo dopoguerra, don Luigi Sturzo fondò il Partito che chiamò Partito popolare. Ancora una volta al “popolo” veniva demandato di superare gli steccati ideologici e di classe. Quanta lungimiranza vediamo ora in quella scelta, che fu ripresa nel dopoguerra da Alcide De Gasperi e che si è poi trasfusa intatta nel Partito del Popolo Europeo, la grande famiglia della democrazia e della libertà in Europa, la naturale famiglia del Popolo della Libertà. Popolo dunque ma anche “Libertà”.

Questa parola, questo concetto ci appare così normale, quasi scontato, ma è invece il bene più prezioso che abbiamo. La libertà, ce lo insegna la storia, non ci è mai data per sempre: essa va difesa ogni giorno, così come molti uomini eroici l’hanno difesa e per lei si sono sacrificati ed hanno perso la vita sui campi di battaglia, nelle rivoluzioni, nei gulag e nei lager. Anche nel tempo della pace, la libertà va custodita come una religione. La nostra religione laica.

La libertà è come l’aria: soltanto quando manca comprendiamo veramente quanto sia indispensabile. E’ come la salute: a cui non pensiamo quando stiamo bene, quando ci sentiamo forti e sani. Ci si accorge della libertà soltanto quando comincia a mancare. La libertà è come la pace, soltanto quando c’è la guerra o solo quando c’è il pericolo di una guerra invochiamo la pace. La libertà, in un Paese moderno e democratico, definisce soprattutto il rapporto tra l’individuo e lo Stato.

E qui siamo al cuore della nostra identità, al cuore della diversità tra noi e la sinistra. Per loro ancora oggi lo Stato è qualcosa di superiore ai cittadini: è lo Stato autoritario, centralista, dirigista. E’ lo Stato padrone di ogni uomo, il suo precettore, il suo pedagogo. E’ lo Stato padrone della vita dei cittadini. I cittadini devono essere al servizio dello Stato, perché per la sinistra lo Stato è quasi un moloch, una divinità. Ma attenzione: ha solo le sembianze di una divinità, perché in realtà è potere, è l’esercizio del potere e dell’oligarchia.

Lo Stato per loro è la fonte dei nostri diritti, per loro lo Stato ci concede graziosamente i nostri diritti e quindi, quando ritiene sia suo interesse – cioè l’interesse di chi è al potere -, questi diritti può limitarli e anche calpestarli. Hanno aggiornato il loro vocabolario ma non la loro concezione del potere: una concezione pericolosa, una concezione che ci allontana dalla libertà, dalla civiltà, ci allontana dalla democrazia, ci allontana dal benessere.

A questa concezione della sinistra noi contrapponiamo la nostra filosofia della libertà, la nostra “religione” della libertà. Di comune accordo, tutti i movimenti che confluiscono nel Popolo della Libertà hanno scelto come “Carta dei valori” il Manifesto del Partito del Popolo Europeo che anche noi abbiamo contribuito a definire.

I principi di questa Carta dei valori, i principi in cui noi crediamo non sono principi astrusi, non sono ideologie complicate; sono i valori fondanti e fondamentali di tutte le grandi democrazie occidentali. Li ho enumerati, parlando a braccio nel mio primo intervento nella trincea della politica, quindici anni fa e sono vivi e vivificanti oggi come allora.

Noi crediamo nella libertà, in tutte le sue forme, molteplici e vitali: nella libertà di pensiero e di opinione, nella libertà di espressione, nella libertà di culto, di tutti i culti, nella libertà di associazione. Crediamo nella libertà di impresa, nella libertà di mercato, che deve essere regolata da norme certe, chiare e uguali per tutti. Ma la libertà non è una gentile concessione dello Stato, perché è ad esso anteriore, viene prima dello Stato. È un diritto naturale, che ci appartiene in quanto esseri umani e che semmai, essa sì, dà fondamento allo Stato. E lo Stato deve riconoscerla e difenderla proprio per essere uno Stato legittimo, libero e democratico e non un tiranno arbitrario.

Crediamo che lo Stato debba essere al servizio dei cittadini, e non i cittadini al servizio dello Stato. Crediamo che lo Stato debba essere il servitore del cittadino e non il cittadino sottomesso allo Stato. Per questo crediamo nella centralità dell’individuo e riteniamo che ciascuno debba avere il diritto di realizzare sè stesso, di aspirare al benessere e alla felicità, di costruire con le proprie mani il proprio futuro, di poter educare i figli liberamente.

Per questo crediamo nella famiglia, che è il nucleo fondamentale della nostra società. E crediamo anche nell’impresa, a cui è demandato il grande valore sociale della creazione di lavoro, di benessere e di ricchezza.

Noi crediamo nei valori della nostra tradizione cristiana, nel valore irrinunciabile della vita, del bene comune, nel valore irrinunciabile della libertà di educazione e di apprendimento, nei valori irrinunciabili della pace, della solidarietà, della giustizia, della tolleranza, verso tutti, a cominciare dagli avversari. E crediamo soprattutto nel rispetto e nell’amore verso chi è più debole, primi fra tutti i malati, i bambini, gli anziani, gli emarginati.

Vogliamo vivere in un Paese moderno dove siano valori sentiti e condivisi la generosità, l’altruismo, la dedizione, la passione e l’amore per la propria famiglia, per il proprio lavoro, per la propria Patria. Popolo e Libertà. Dunque, il Popolo della Libertà.

Ecco perché non è retorico affermare che oggi noi siamo il movimento, l’unico movimento, che realizza il sogno di un popolo, le speranze di un popolo, le attese di un popolo, l’unico partito che definisce l’identità del nostro popolo. Questo nostro partito, questo nostro movimento deve essere dunque anzitutto garanzia e baluardo di libertà.

Solo tenendo fede a questo solenne impegno, a questo giuramento, potremo chiedere e ottenere il consenso di un numero sempre maggiore di italiani per essere una maggioranza sempre più vasta in grado di riformare il nostro Paese.

In questo senso consentitemi di rivendicare un altro motivo di orgoglio. La nascita del Popolo della Libertà colma quella che molti studiosi hanno individuato come una lacuna nel percorso storico dell’Italia. L’Italia, si è spesso detto, non ha mai avuto - a differenza della Francia, degli Stati Uniti, dell’Inghilterra - una vera e autentica rivoluzione liberale. E questo, si è aggiunto, è stato tra le cause “prima” dell’affermarsi di pulsioni totalitarie a sinistra come a destra, “poi” del cattivo rapporto tra cittadino e Stato. Una democrazia in qualche maniera incompiuta.

Oggi noi abbiamo l’ambizione di colmare questo vuoto. Di rispondere a quella domanda rimasta inevasa per lunghi decenni. Di realizzare la nostra rivoluzione liberale, borghese e popolare, moderata e interclassista. E di farlo con una forza che non ha precedenti nella nostra storia politica. Dio sa quanto il Paese ne abbia bisogno.

Il percorso verso questo nostro Popolo della Libertà è stato fin dall’inizio definito in un clima di grande concordia. Direi di più: in un clima di armonia, espressione che a tutti noi ricorda Pinuccio Tatarella, uno dei primi a condividere l’aspirazione ad un grande partito unitario dei moderati, di tutti gli italiani che non si riconoscono nella sinistra.

Di più. Questa vocazione maggioritaria era già presente nel momento in cui invitai a votare alle elezioni di Roma del '93 per Gianfranco Fini e non per Rutelli, ed i dirigenti del Movimento Sociale Italiano ebbero il merito di capire la portata di quella intuizione.

Intuizione che trovò attuazione pratica in tre passaggi fondamentali: il 26 gennaio 1994, giorno in cui nacque Forza Italia; sempre in quel gennaio ’94, quando i dirigenti del Movimento Sociale Italiano iniziarono a discutere di Alleanza Nazionale; e poi con il congresso di Fiuggi del 27 gennaio 1995, quando Fini diede vita ad Allenaza Nazionale.

Giustamente quella di Fiuggi è passata alla storia come una svolta: si trattò infatti dell’autentica rifondazione della destra. Che seppe allora chiudere coraggiosamente con un passato che la destinava ad essere minoranza, e si aprì ad un futuro di moderna forza di governo pienamente legittimata sulla scena italiana ed europea. Gli osservatori più banali coniarono il termine di “sdoganamento” della destra.

Una visione davvero riduttiva, un termine inaccettabile perché – come ha già detto anche Gianfranco - non si applica alle idee, soprattutto alle idee giuste, che sanno imporsi da sole. Per questo desidero rivolgere a Gianfranco un ringraziamento e un saluto affettuoso perché anteponendo l’interesse dell’Italia a quello personale ha contribuito in modo decisivo a scrivere insieme a noi questa pagina di storia.

Grazie Gianfranco, grazie ancora da tutti noi. Le nostre idee erano e sono vincenti. Forza Italia e Alleanza Nazionale hanno infatti sempre avuto la naturale disposizione a rappresentare non una parte, ma l’interesse generale del Paese.

Fu così che nella confusione di quegli anni noi sapemmo offrire una risposta nazionale a un'emergenza democratica. Una storia iniziata col Polo delle Libertà e il Polo del Buongoverno, consolidata dalla “Traversata del deserto”, proseguita con la Casa delle Libertà, e che oggi trova qui il suo approdo naturale e definitivo.

E’ per me doveroso ringraziare tutti i partiti, i movimenti e le personalità che, insieme a Forza Italia e ad Alleanza Nazionale, hanno contribuito alla nascita del Popolo della Libertà, con un voto solenne di autoscioglimento prima e di adesione poi: - la Nuova Dc per le autonomie di Gianfranco Rotondi, - il Nuovo Psi di Stefano Caldoro, - il Partito Repubblicano di Francesco Nucara, - l’Azione Sociale di Alessandra Mussolini, - i Popolari Liberali di Carlo Giovanardi, - i Liberaldemocratici di Lamberto Dini, - il Movimento Politico Italiani nel mondo di Sergio De Gregorio, - il Movimento Politico per la Liguria di Sandro Biasotti, - la Destra Libertaria di Luciano Bonocore, - la Federazione dei Cristiano Popolari di Mario Baccini. Ringrazio anche Benedetto della Vedova che è confluito da tempo nel Popolo della Libertà con i suoi Riformatori Liberali.

Ringrazio Stefania Craxi, figlia e degna erede politica di un mio carissimo amico, Bettino Craxi, che ebbe, tra gli altri, un grande merito: fu il primo presidente del Consiglio a rivolgersi nel Parlamento ai banchi della destra garantendo che il partito della destra sarebbe stato trattato alla pari di tutti gli altri partiti democratici superando così l’idea che la vera Costituzione italiana fosse l’accordo tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista.

Fu così che egli decretò nei fatti la fine del cosiddetto “arco costituzionale”. In quel 1994, con la Casa delle Libertà i concetti di popolo e di nazione che definivano il termine Italia erano il solo criterio che ponemmo alla base di un movimento rivolto agli italiani che non si riconoscevano nell’egemonia della sinistra postcomunista dopo la fine dei partiti storici della democrazia italiana.

Solo con concetti così universali come “Italia”, “popolo” e “nazione” ci fu possibile rivolgerci allora, sia alla Lega Nord sia al Movimento Sociale, così diversi nelle loro origini. Ci trovammo a svolgere il ruolo di argine a un possibile elemento di conflitto civile determinato dall’incedere della protesta del Settentrione.

L’adesione al Trattato di Maastricht e la prospettiva dell’euro avevano profondamente cambiato l’economia italiana. Il Nord produttivo entrò in rotta di collisione col sistema dei partiti e della spesa pubblica, e questo condusse a una protesta profonda e diffusa, che dal popolo delle partite Iva si allargò al mondo industriale e alle classi dirigenti.

Umberto Bossi seppe comprendere per primo e per primo dare una risposta politica al malessere del Nord. Era assolutamente necessario ritrovare il sentimento di “Italia come Patria” anche nel Nord, per poter dare ai problemi posti dalla Lega una risposta che evitasse ogni tentazione separatista. Offrimmo allora a Bossi una via che tenesse conto e accogliesse il sentimento del Nord ed evitasse i danni di un confronto senza mediazione politica tra la Lega e lo Stato.

Come su un altro terreno Gianfranco Fini, anche Bossi si rivelò un vero leader, un leader coraggioso e lungimirante. Ed anche a lui inviamo un caldo abbraccio ed un grande applauso. Sono stati quindici anni nei quali, come ho detto, abbiamo conosciuto stagioni di governo e di opposizione; ma in tutto questo tempo - lo dico con orgoglio - il centrodestra è sempre stato maggioranza nel Paese. Un’avventura entusiasmante e – possiamo ben dirlo – vittoriosa.

Guardiamo le cose nel loro giusto orizzonte. La sinistra, uscita quasi indenne dalla tempesta politico-giudiziaria del ’92-’93, e risparmiata in modo “chirurgico” dalle inchieste della magistratura militante, è entrata in quel periodo da trionfatrice tra le macerie della Prima Repubblica, come l’Armata Rossa entrò tra i palazzi diroccati di Varsavia e di Berlino, dopo avere opportunisticamente atteso alle frontiere.

Nel ‘94 il Pci si era da poco trasformato in Pds, mantenendo intatti del Partito comunista, la struttura, l’intero gruppo dirigente, il centralismo democratico, ed anche la falce e il martello. Ma soprattutto non rinnegando nulla di quelle idee condannate per sempre dalla storia – eppure il muro di Berlino era stato abbattuto nell’89 – e ritenendo che per reinventarsi bastasse semplicemente sostituire una parola: “democratici” al posto di “comunisti”. Un inganno che si è ripetuto e si ripeterà spesso. Unica novità, il venir meno dei finanziamenti illeciti dall’Unione sovietica ormai scomparsa.

La sinistra era convinta di “dover” andare al governo, di avere il diritto di governare. Ma la “gioiosa macchina da guerra”, guidata nel 1994 da Achille Occhetto contro il sottoscritto, fallì l’impresa. Da allora, in questi quindici anni, con varie trasformazioni, con varie geometrie, con vari camuffamenti, la sinistra non è mai mutata.

Non una sinistra, dunque, che guardava al centro e aspirava a conquistare il consenso dei moderati; ma una sinistra che mirava a riunire tutte le sinistre possibili, e ad imporre i suoi modelli egemonici a chi, fino a poco prima, era stato laico, democratico, socialista o democristiano. Il tutto sotto l’occhio benevolo e complice della assoluta maggioranza della stampa e delle proprietà azionarie sovrastanti; dei circoli intellettuali; dei cosiddetti salotti buoni, comprese le loro ramificazioni all’estero. E naturalmente con la complicità di una certa magistratura. “Repetita iuvant”, si dice da sempre.

Per descrivere la sinistra, non trovo parole più chiare ed efficaci di quelle che pronunciai il giorno della mia discesa in campo. Dissi: “Le nostre sinistre pretendono di essere cambiate. Dicono di essere diventate liberaldemocratiche. Ma non è vero. I loro uomini sono sempre gli stessi, la loro mentalità, la loro cultura, i loro più profondi convincimenti, i loro comportamenti sono rimasti gli stessi. Non credono nel mercato, non credono nell’iniziativa privata, non credono nell’individuo. Non credono che il mondo possa migliorare attraverso l’apporto libero di tante persone tutte diverse l’una dall’altra. Non sono cambiati.

Ascoltateli parlare. Guardate i loro telegiornali pagati dallo Stato, leggete la loro stampa. Non credono più in niente. Vorrebbero trasformare il Paese in una piazza urlante, che grida, che inveisce, che condanna. Per questo siamo stati costretti a contrapporci a loro”. Non dimentichiamoci mai che nel nostro Paese ci sono stati milioni di “adoratori” di tiranni sanguinari come Stalin, come Mao, come Pol-Pot.

Le forze riformiste sono sempre state schierate nella coalizione di centrodestra, mentre i cultori dell’immobilismo e della conservazione sono sempre stati a sinistra. Quel passo che hanno fatto da decenni tutte le sinistre del mondo, dai socialdemocratici tedeschi al New Labour inglese fino ai socialisti spagnoli, quel passo gli eredi diretti del comunismo italiano non hanno mai avuto la volontà, il coraggio e la forza di farlo. Voglio dire: il coraggio e la forza di rinnegare il comunismo e di chiedere scusa agli italiani.

In Italia gli unici a sopravvivere al fallimenti ed al crollo delle ideologie sono stati gli sconfitti della storia. Di conseguenza, non esiste e non è mai esistita, discontinuità di strategie e di personale politico tra la classe dirigente che era stata erede di Palmiro Togliatti e quella di oggi. Mentre noi andavamo avanti, loro andavano indietro.

La destra italiana si è rinnovata, loro hanno fatto soltanto finta di farlo. Così dopo la “gioiosa macchina da guerra” è venuto il ribaltone, e poi l’Ulivo, e quindi l’Unione, dopo ancora il Partito Democratico, ed oggi si assiste nuovamente ad un ritorno al passato, al tentativo di recuperare tutte le sinistre, al recupero del sindacato più conservatore e di tutti gli antagonismi.

Un carosello di trasformismi e di autentici trasformisti. Ad ogni invenzione botanica, prima la Quercia, poi l’Ulivo poi la Margherita, i consensi della sinistra sono andati via via riducendosi, e ancora di più si è ridotta la loro credibilità nel Paese. Le loro alleanze si sono sempre rivelate conservative e difensive.

I loro governi hanno offerto agli italiani uno spettacolo continuativo di risse, di tradimenti, di psicodrammi parlamentari. Mentre noi eravamo impegnati nel fare, loro monopolizzavano i talk show. E li monopolizzano tutt’ora. Mentre noi portiamo a termine le legislature, loro sono riusciti ad avvicendare in cinque anni quattro governi e tre presidenti del Consiglio.

E stendiamo un velo pietoso sull’ultima esperienza governativa.
SECONDA PARTE DEL DISCORSO DI BERLUSCONI
TERZA PARTE DEL DISCORSO DI BERLUSCONI

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