"Distrutte le nostre aziende ma rifiutiamo l'elemosina"

Giancarlo Busato, titolare di una delle poche stamperie d'arte italiane, ha subito moltissimi danni: "Mio padre dice che nemmeno nel 1966 l'acqua è arrivata così in alto". ma chiede una cosa soltanto: "Fatemi lavorare, aiutateci a ripartire senza beneficenze"

«Mi ha chiamato mia zia a mezzanotte di domenica. Dormivo già. Mi ha detto: guarda che a Santa Lucia c’è la Protezione civile, sta succedendo qualcosa. Mi sono precipitato in laboratorio e mi hanno avvertito: il Bacchiglione romperà alle 4. Avevo poche ore. Mi sono messo, da solo, a spostare pacchi di carta e tirature già completate. Ho sollevato sugli scaffali più alti del magazzino quel che potevo: ma lo sa quanto pesa la carta, vero? Quello che era in basso l’ho appoggiato sul tavolo, ma poi tutto è finito sotto lo stesso. Ho fatto il possibile...».

Ha accumulato tensione in giorni d’inferno Giancarlo Busato, 38 anni, titolare di una delle poche stamperie d’arte italiane, fondata dal nonno nel 1946 e collocata al piano terra di un palazzo del centro di Vicenza, in Contrà Santa Lucia, a 100 metri dal teatro Olimpico. «Il nostro è un mestiere diverso, la carta è fabbricata apposta per noi, dei cinque torchi tre sono di fine Ottocento, a stella, pezzi rari, con la struttura in legno e ghisa. La carta è andata distrutta, l’acqua e il fango sono saliti a un metro e mezzo: io sono alto 1,70 e mi arrivavano alle ascelle. Per due giorni è stato impossibile entrare. Poi abbiamo spalato, spalato, spalato. Abbiamo gettato tirature intere che erano già in consegna, qualcosa si è salvato ma è una minima parte. Ora l’acqua è defluita e all’80% abbiamo ripulito i locali. Dieci ragazzi, giovani artigiani come me, hanno dato una mano a tutta la mia famiglia, mio padre, mia moglie, anche le bambine, e Valerio, il mio collega-dipendente. Adesso dobbiamo passare al dettaglio: i torchi sono prima da carteggiare e poi da passare con la nafta, sperando che le parti meccaniche abbiano resistito. Sono pezzi introvabili, tre Bendini, che non si fabbricano più, sono le Ferrari del nostro mestiere. Vede: se si è distrutto il banco di un bar, si può cambiare. Ma io come faccio? Introvabili e storici. Qui sono venuti a stampare acqueforti e litografie Guttuso, De Chirico, Maccari, Guidi. Tono Zancanaro, Murer, Neri Pozza erano di casa...»

Parla come un fiume in piena anche lui, detto senza doppi sensi. «Sono rimasto attonito e poi sono andato in confusione. Ho pianto per ore, poi ho riso per ore. Non ero normale. Ma non c’era nulla di normale intorno a me, ero disperato. Mio padre dice che nemmeno nel 1966, l’ultima grande alluvione, l’acqua è arrivata così in alto. Poi qui, in Santa Lucia, c’è una depressione. Ma il nostro mestiere va fatto al piano terra: torchi, pile di carta, è impensabile lavorare al primo piano. Infatti le tirature già fatte le tenevamo più in alto, ma chi se l’aspettava? E poi, me lo lasci dire: si è rotto un argine appena rifatto, sarà pure responsabilità di qualcuno! Eppure non ho da recriminare, si tratta di andare avanti, io amo il mio lavoro. Ci sono state anche cose meravigliose che mi hanno commosso: mi ha telefonato il dottor Tabaro, responsabile della cultura della Regione Veneto. Il ministro Galan ha citato pubblicamente la mia stamperia, sono venuti a rincuorarmi assessori, autorità, amici, sconosciuti. La solidarità fa bene, mi creda...»

A fine mese ci sono le tasse da pagare... «Guardi, sì, se si può sospendere è meglio.

Ma sa che cosa chiedo davvero? Fatemi lavorare, compratemi le tirature salvate; andate ad acquistare il pane dal panettiere finito sott’acqua, a Natale regalate i gioielli dell’orafo alluvionato. Aiutateci a ripartire, senza beneficenze, ma ridandoci l’orgoglio e la forza del nostro lavoro».

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