Beppe Grillo ha vinto la sua battaglia quando, per impedirgli di prender parte allimminente congresso e alle successive primarie, Dario Franceschini, tuttora segretario del Partito democratico, invece di mandarlo decisamente a quel paese sè appellato alle norme della burocrazia interna, come peggio non avrebbe potuto fare un piccolo ragioniere. Norme burocratiche che come cera da aspettarsi il comico ha potuto aggirare grazie alla compiacenza dei democratici compagni del circolo Martin Luther King di Paternopoli, che solo così sembra già una trovata cabarettistica. Grazie alla quale, però, Grillo - luomo che ha dichiarato morta la democrazia reale, liquidata da quella virtuale delle chat, dei blog e di Facebook - da spalla, da comprimario, da macchietta che era si ritrova protagonista e punto di riferimento del dibattito politico. Con le carte (burocratiche) in regola per candidarsi alla segreteria del Partito democratico, di riffa o di raffa erede del Pci di Togliatti e di Berlinguer.
Che ciò sia potuto succedere, è una colpa gravissima che pesa su tutta la sinistra italiana, su tutti i «sinceri democratici» appartenenti alla società civile. In particolare di quelli che hanno vezzeggiato i Nanni Moretti, i Pancho Pardi e i girotondini; i fan della Dandini e di Daniele Luttazzi, gli abbonati a Micromega. Quelli che in perfetta sintonia con Grillo ripongono il futuro della nazione nelle mani del «popolo del web». Intendiamoci, un buffone - buffone di professione, iscritto alla Siae - che getta nel marasma i progressisti e che rischia addirittura di mettersene alla guida è cosa che lì per lì dovrebbe compiacere lItalia maggioritaria liberale e democratica. La sinistra che finisce in avanspettacolo è pur sempre una bella soddisfazione. Ma anche se gode di un basso indice di gradimento, la politica è quellinsieme di cose che, virino a destra o virino a sinistra, concerne tutti noi. E il dover constatare che ne diventa protagonista, che ne diventa animatore Beppe Grillo lascia fortemente perplessi. Forse il programma del governo Prodi, duecento e passa pagine, era un po prolisso, ma il programma di Grillo riassunto nei suoi monologhi, quello lascia, per pochezza, per povertà o meglio per conformismo delle idee e per demagogia pauperista, davvero sgomenti.
Un uomo così alla guida di un grande partito e dunque in teoria alla possibile guida del Paese? Uno che non fa distinzione tra la una gag e una riflessione politica, riducendo a gag questa ed elevando a politica quella? Uno che manifesta in modo così palese che il proprio impegno sociale, che i sermoni moralistici, che gli attacchi ai poteri forti, che la demagogia dispensata a piene mani hanno come scopo «colpire la pancia», suscitare l'applauso e di conseguenza far palanche, come le chiama il genovese Grillo? Da un comico non si pretende né la buona fede né che sia mosso da ideali. Ma da un politico sì. Anche se gli ideali dovesse poi chiamarli sogni, cosa che accade sempre più frequentemente. È da qualche mese che la sinistra batte e ribatte sulla pessima immagine che per via di certo ciarpame, poi rivelatosi inconsistente, dà di sé lItalia.
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