
I milanesi, la scorsa stagione, hanno conosciuto il Collettivo Fc Bergman, per aver visto, in occasione del Festival Passato-Presente, ideato da Claudio Longhi, lo spettacolo «The Sheep Song», una parabola dal forte impatto visuale, oltre che fisico, sulla paura nei confronti di ciò che possa cambiare la nostra vita. Si trattava di una storia, senza dialoghi, che aveva per protagonista una pecora che diventa uomo, ma che vive il calvario del suo cambiamento.
Da oggi a venerdì 30 maggio, al Teatro Strehler, in prima nazionale, il Collettivo presenta «Works and Days» ispirato a «Le Opere e i Giorni» di Esiodo (VIII-VII secolo aC), autore più noto per avere scritto la «Teogonia», il poema mitologico che narrò la genealogia degli Dei greci. Con «Le Opere e i Giorni», Esiodo si concentrò sulla necessità del lavoro, offrendo consigli pratici per l'agricoltura, facendoli precedere da osservazioni sulla giustizia e sui miti, anche se ciò che maggiormente gli interessava era il lavoro manuale, ovvero l'esercizio dell'agricoltura in base alle stagioni e ai giorni di ciascun mese, oltre che l'elemento didattico ed esemplarmente etico, ritenendo il lavoro un mezzo per ottenere la vita attiva e virtuosa. All'interno del testo, troviamo i miti di Prometeo, di Epimeteo, di Pandora, ma anche la narrazione delle cinque età del mondo: l'età dell'Oro, dell'Argento, del Bronzo, degli Eroi e del Ferro. Ebbene, questa materia che abbiamo cercato di sintetizzare, viene utilizzata dal Collettivo, formato da Stef Aerts, José Agemans, Thomas Verstraeten, Marie Vinck, per trarne uno spettacolo dal forte impatto visivo, fisico e musicale, dato che il testo, a cui i performers fanno riferimento, diventa il pretesto per mettere in evidenza il divario che esiste tra uomo e natura, immerso nel ritmo delle stagioni, non più, certo, quello di una volta, a causa degli sconvolgimenti climatici che hanno stravolto i cicli naturali che non ubbidiscono più ai rituali collettivi di un tempo, tanto da aver distrutto il concetto stesso di comunità. Il fine che si prefigge Fc Bergman è quello di offrirci un loro modo di trasmettere la conoscenza tra passato e presente che mi ricorda il lavoro del Collettivo veronese Anagoor che, al contrario, fa molto uso del testo e della parola. Lo spettacolo, che lascia senza fiato, è stato strutturato in forma cronologica in modo da accompagnare lo spettatore da un'epoca arcaica a quella contadina, a quella preindustriale e, infine, a quella delle macchine altamente tecnologiche messe al servizio dell'agricoltura di cui risentono i prodotti che mangiamo. Determinante è l'apporto musicale che, in questo caso, non poteva non essere quello delle «Quattro Stagioni» di Vivaldi che fanno da cornice alla drammaturgia.
Molto interessanti sono i collegamenti tra ciò che accade sul
palcoscenico e ciò che viene recepito in platea. Il Collettivo è noto per le sue performance monumentali, in questo caso, tutto è funzionale alla drammaturgia per immagine che contraddistingue, da sempre, il loro modo di lavorare.