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È diventato anche personaggio di un romanzo

Lo si può considerare il dandy dell’arte contemporanea. Uno degli artisti, più amati, più odiati, ma anche tra i più venduti. Non si conosce il numero esatto della sua produzione, e nemmeno quanto dipinti siano stati realizzati realmente da lui e quanti da mani altrui. Ma, nonostante tutto, Mario Schifano rimane ancora oggi l’artista più conosciuto dell’arte contemporanea. Precoce e affamato di gloria, non arrivò nemmeno in America che già era famoso. «Giunsi a New York il 28 dicembre e trascorsi la fine dell’anno con Andy Warhol», affermò, con compiacimento. Una vita fatta di salite e di discese, di grandi amori, di grandi passioni, macchine bellissime di bellissime donne, una per tutti la cantante Marianne Faithfull, che soffiò a Mike Jagger. Controversi momenti della vita che lo hanno portato anche in carcere, a causa della droga. Ma il personaggio Schifano è stato anche altro. Padre, in età matura, assolutamente sui generis; genitore materno, con un rapporto simbiotico con il figlio, raccontato in centinaia di videocassette documentarie.

E poi il legame con Moravia, con Ungaretti, che lo descrive come l’arabo (era nato a Homs, in Libia) dagli occhi neri e dai capelli corvini. Un uomo unico nel suo genere, da essere addirittura ritratto in un romanzo di Fulvio Abbate, (Quando è la rivoluzione) che con lui aveva sempre avuto un rapporto schizofrenico, di amore -odio.

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