RomaAvanti tutta con le riforme fino al 2013. Berlusconi non solo non molla, ma rilancia. E prepara sia una stretta sulle intercettazioni sia una cura da cavallo per la ripresa delleconomia. Il presidente del Consiglio torna a farsi sentire e in due differenti telefonate suona la carica. Il primo messaggio lo manda alla festa del Pdl a Cuneo, alla presenza dei capigruppo Gasparri e Cicchitto, dei sottosegretari Crosetto e Ravetto, e di molti parlamentari piemontesi (Costa e Napoli) e non. Il secondo alla festa del partito a Bisceglie, in Puglia. Il premier respinge su tutta la linea le richieste assillanti di sinistra e terzo polo: «Non possiamo andare dietro alle aspettative di media e opposizione. Non ci dimetteremo se non dopo un voto di sfiducia del Parlamento, che io escludo». Attacca la stampa avversa: «Cadono le braccia vedendo come si comportano lopposizione e i giornali, non solo quelli di sinistra ma tutti i grandi giornali italiani». I quali, dice il premier, «fanno da eco allopposizione».
Non manca una stoccata a Fini e Casini sulle riforme: «La maggioranza è meno numerosa di quella di prima. Con Casini prima e poi con Fini era impossibile fare le riforme. Ora è più coesa». Il dialogo? Una chimera: «Purtroppo ci troviamo sempre allopposizione quei signori comunisti con cui non possiamo dialogare, non cè nemmeno un protagonista tra loro con cui si possano fare discorsi davvero seri».
Ma è sulle intercettazioni che il Cavaliere fa capire di essere intenzionato a metter mano: «Dobbiamo tornare a essere un Paese davvero civile, libero. Oggi non lo siamo. Sapete bene che quando chiamate qualcuno al telefono sentite la morsa dello Stato di polizia, e il fatto che non sentite le vostre parole inviolabili significa che non siamo più in uno stato di libertà». Ma che fine ha fatto il ddl sugli ascolti? Un testo è stato approvato dal Senato e per un anno è giaciuto in commissione giustizia alla Camera. Proprio questa settimana, però, il provvedimento verrà tirato fuori dal cassetto e ridiscusso in Aula. Il disegno di legge era finito su un binario morto perché Berlusconi lo aveva definito «ormai stravolto». Furono principalmente i finiani a depotenziarlo. Quel testo prevedeva sanzioni agli editori che avessero pubblicato le intercettazioni fino alla conclusione delle indagini ma concedeva la pubblicazione per riassunto.
In realtà il premier sta pensando a un giro di vite ben più stretto con il «divieto assoluto» alla pubblicazione. Un desiderio espresso anche in una riunione riservata dopo lultima valanga di intercettazioni che lo riguardano, di recente spiattellate sulla stampa. «Uno scandalo - aveva detto il Cavaliere ai suoi - adesso si deve agire». «Così comè il testo è acqua fresca», ammette un pidiellino che auspica una rivisitazione più dura del testo licenziato al Senato. Un altro deputato del Pdl, invece, consiglia maggior cautela: «Meglio quello di niente. Non possiamo permetterci ulteriori rivolte del post-it e il probabile altolà del capo dello Stato».
Per quanto riguarda la crisi finanziaria, invece, Berlusconi non cita mai Tremonti ma fa intendere di voler prendere in mano il timone delleconomia. La rotta è segnata: sviluppo. Ma soprattutto collegialità nel metodo. Un messaggio agli italiani ma anche al ministro dellEconomia con il quale Berlusconi non parla ancora. «Faremo la riforma del fisco che dovrà portare allabrogazione dellattuale selva inestricabile di leggi - promette - abbiamo fatto molto ma stiamo lavorando ad altre misure tese alla crescita». Poi annuncia: «In settimana esamineremo in consiglio dei ministri provvedimenti strutturali sulle dismissioni del patrimonio pubblico, le liberalizzazioni, le leggi obiettivo, le opere pubbliche, i grandi corridoi europei, a cominciare dal Corridoio 5 che interessa il Piemonte. Dalla realizzazione di queste grandi opere potrà venire più lavoro».
Il Cavaliere dispensa ottimismo: «Stiamo lavorando sodo e ci presenteremo alla prossima scadenza elettorale - conclude il premier - con un programma che ci farà ottenere la fiducia dei cittadini per un nuovo mandato al governo del Paese».
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