Dobrzanski L’apocalisse del Novecento

«Sono nato nel 1914 a battesimo dei cannoni della Prima Guerra mondiale, ho attraversato il secondo conflitto mondiale, i campi di sterminio, il genocidio atomico. Il mio secolo si chiude con le guerre atomiche e di religione». Con queste parole, tratte dalla sua Autobiografia, il celebre artista svizzero Edmondo Dobrzanski (Zug, 1914 - Lugano, 1997), sintetizza la sua vita e la sua poetica. Insieme a Wiemken, Varlin e Giacometti, Dobrzanski fa parte dei grandi artisti elvetici che hanno innalzato la Svizzera all’ambito artistico europeo. Ed è proprio alla sua arte che, il Comune di Milano, in collaborazione con la città di Locarno, ha voluto rendere omaggio con una mostra esposta nelle Sale Viscontee del Castello Sforzesco, dal 12 febbraio al 6 aprile.
Oltre 250 opere, in parte inedite in Italia, ripercorrono tutto il XX secolo. Ossessionata dagli orrori della guerra e segnata da un’angoscia esistenziale, la sua produzione artistica è frutto di una coscienza storica drammaticamente scossa - «Lo sgomento ha aperto il nostro tempo» - e basata sulla convinzione che l’umanità sia irrimediabilmente violenta. Tensione religiosa, meditazione sul destino dell’uomo, attesa dell’apocalisse (The Day After) e sentimenti profondi caratterizzano le sue tele: quadri, intensi e moralmente impegnati, che esprimono disagio e sofferenza interiore. Emblematiche le atmosfere di Cimitero sul Carso, una terra di nessuno in cui «sono sepolti i morti di tutte le guerre». Di grande impatto emotivo anche Vajont, dipinto dopo la terribile tragedia che nell’ottobre del 1963 provocò migliaia di morti.
Oltre ai temi storici, Dobrzanski si dedica anche a nature morte, paesaggi e ritratti, in cui la figura umana - rappresentazione allegorica del costume sociale - degenera riducendosi a un informe materico. Il pittore ritrae la miserabile umanità da bettola: prostitute immobili, corpi lascivi e deformi segnati dalla storia e dal destino, acerbe figure di adolescenti, emblemi di una «beauté laide» che ben esprime l’umiliazione della condizione misogina della donna nel secolo scorso. Un erotismo deviato che coinvolge, nella sua corruzione morale, anche insospettabili avvocati e commercialisti che, in giacca e cravatta, stanno a ridosso dei nudi di donna.
Erede di un’antica dinastia di fotografi, di remote origini polacche, Edmondo Dobrzanski rompe la tradizione di famiglia per dedicarsi a un’arte pittorica apprezzata anche all’estero e recensita dei maggiori storici dell’arte. La sua formazione inizia a Milano all’Accademia di Brera, dove, dal ’36 al ’42, Dobrzanski stringe amicizia con i pittori lombardi più in vista dell’epoca, tra i quali Morlotti, Chighine e Bergolli. Completa poi il suo apprendistato a Zurigo dove, dal ’42 al ’49, viene a contatto con le correnti artistiche antimilitaristiche e ostili al nazifascismo; mentre nel 1950 è di nuovo in Italia. Le periferie industriali di Sironi, l’intimismo antiretorico di Morandi e l’arte «degenerata» degli espressionisti tedeschi (soprattutto Beckam e Dix) sono i maestri a cui si ispira.

Artista di frontiera tra la Lombardia e il Canton Ticino - una terra mediana tra il nord espressionista e il gusto lombardo per la pittura informale - Dobrzanski matura un percorso artistico in cui fonde la sua formazione figurativa-espressionistica con l’informale, dando così vita a un linguaggio internazionale, che - insieme a Pollock e De Staël - caratterizzerà l’intera esperienza pittorica della sua generazione.
Edmondo Dobrzanski
Castello Sforzesco, Sale Viscontee
Dal 12 febbraio al 6 aprile
Ingresso libero
Info: 02.76009085

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