«Da dodici anni aspettiamo il ponte vero»

Vaghe promesse da Tursi, ma i cantieri restano bloccati

«Da dodici anni aspettiamo il ponte vero»

Francesco Gambaro

Nell’Alta Val Varenna quattro famiglie genovesi aspettano un ponte da dodici anni e, per raggiungere le proprie abitazioni, devono accontentarsi di una passerella pedonale costruita con tubi Innocenti. Una soluzione «provvisoria» mai digerita dagli abitanti. Ma tant’è. Così vanno le cose a San Carlo di Cese dal 1993, dalla tragica alluvione che, oltre a portare via il ponticello a quattro nuclei famigliari, costò la vita a due coniugi della zona. È da allora che qui si parla, a ogni pié sospinto, di messa in sicurezza e di ricostruzione degli argini del torrente. E del rifacimento del ponte che sarebbe provvidenziale per una decina di abitanti a San Carlo di Cese, altrimenti tagliati fuori dal mondo. Invece, «Non è mai stato fatto nulla», tuona Antonio Sgromo, abitante di San Carlo di Cese. Che da dodici anni sommerge di lettere al calor bianco il sindaco di Genova Giuseppe Pericu rammentandogli lo stato di disagio e difficoltà nel quale versano ancora oggi gli abitanti dell’Alta Val Varenna. Racconta Sgromo che nel 2002 fu proprio Pericu a comunicargli che «i lavori sarebbero iniziati nel corso dell’anno, essendo stati stanziati i fondi per la messa in sicurezza di San Carlo di Cese». Mica vero, ribatte il residente a dir poco inviperito. Di lavori qui neanche l’ombra. Il ponte? Non è stato mai rifatto. Gli argini del Varenna a San Carlo? Vedi sopra. Eppure c’era il progetto di ricostruirli in pietra e in cemento armato.
La conferma arriva anche da Anna Maria Barucchi, vicina di casa del signor Sgromo, a tutti gli effetti una «miracolata». Sì perché la signora tre anni fa, mentre usciva di casa, venne travolta da una pietra caduta giù dalla montagna che la scaraventò contro il «famigerato» ponticello, mai riedificato. Tanta paura, un occhio tumefatto e la consolazione (almeno quella) di vedere recintato il monte da una griglia di sicurezza. «Per fortuna che quel giorno avevo un ombrello, con il quale sono riuscita ad attutire l’urto del masso - racconta la donna -. Pochi minuti dopo è passato di lì il mio nipotino. Poteva essere una tragedia...». Intanto però la passerella in tubi Innocenti è ancora lì. A camminarci sopra viene quasi spontaneo affidarsi alla Madonna della Guardia, tanto poca è la sicurezza che trasmette il ponticello ai viandanti. Resta da capire perché i cantieri da queste parti procedano così a rilento. Anzi siano fermi del tutto.
Pare che ciò dipenda da alcune tracce d’amianto scoperte più di un anno fa sul monte che sovrasta le case. «Forse questo è uno dei motivi per cui i lavori vanno per le lunghe», afferma Sgromo che accusa il Comune di considerare gli abitanti della Val Varenna «cittadini di terza categoria dei quali ci si ricorda solo al momento di riscuotere le tasse». Lui certo di balzelli se ne intende. «Il Comune mi ha costretto a pagare la tassa sull’acqua che avrei utilizzato quando ero presidente del Corpo volontario protezione civile. Per farlo, Tursi mi ha mandato la stipula di una convenzione di un acquedotto privato. Peccato che a San Carlo di Cese non esista e non sia mai esistito un acquedotto, né comunale, né privato...».

L’acqua della quale Tursi ha preteso il pagamento - sostiene l’uomo - è quella di una semplice «vivagno», ossia un sorgente da cui è possibile attingere. Sarà.
Tasse e balzelli a parte, resta il mistero di un ponte lungo... dodici anni. E chissà quanti ancora.

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