Da domani troverà posto in penultima pagina una mia rubrica che sarà quotidiana, con l’eccezione del lunedì. Vittorio Feltri ha deciso di chiamarla «la stanza di Mario Cervi», così lusingandomi due volte: per la personalizzazione del mio contributo al Giornale, e per quel termine «stanza» che evoca la corrispondenza con i lettori tenuta da Indro Montanelli, durante molti anni, su Oggi. L’avere quella «stanza» ha significato, per Montanelli, licenza di sincerità, possibilità di tutelare la propria autonomia e indipendenza giornalistica. Così l’intendo anch’io.
So d’affrontare un compito arduo, perché il «popolo» del Giornale è nella sua fedeltà molto esigente, e quando ci vuole diffidente. Quel popolo io l’ho conosciuto, nell’accezione più concreta del termine, per averlo visto sfilare nella nostra redazione, portando le sue offerte, in occasione di sottoscrizioni dal Giornale promosse dopo calamità nazionali. Ho conosciuto così la brava gente d’Italia, sempre molestata dai furbetti, che andava cercando in queste pagine una risposta ai suoi tanti dubbi.
Credo che Feltri mi abbia scelto per la «missione stanza» soprattutto tenendo conto d’un mio privilegio - si fa per dire - derivante dall’anagrafe. Il privilegio d’avere assistito alla nascita del Giornale, d’averne condivise le vicende gloriose ma anche burrascose, e di vederlo adesso in piena salute.
Ho grande affetto per i lettori del Giornale: se lo meritano. So che chiedono lealtà e chiarezza. Mi pongo al loro fianco, e mi ritengo al loro servizio, per quanto riguarda l’impegno e l’adesione ad alcuni «fondamentali» d’una comune ideologia. Non sarò invece al loro servizio per quanto riguarda le opinioni e posizioni su singoli problemi ed episodi. Mi accadrà spesso di pensarla come la maggioranza dei lettori, mi accadrà qualche volta di pensarla in maniera diversa, e perfino opposta. Nel qual caso lo dirò con franchezza. Li considero, i lettori, amici di cui posso fidarmi, e che si fidano di me.
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