DON MATTEO ARRIVA PRIMA DEI CARABINIERI

Pur di scappare dal Grande Fratello (che non vince più la gara degli ascolti e fa intravvedere una possibile crisi di rigetto per i reality, come dimostra anche il flop della prima puntata di Music Farm) il pubblico si sta sempre più indirizzando verso Don Matteo 5 (giovedì su Raiuno, ore 21). Non che sia una alternativa esaltante (assomiglia alle scelte «pistola alla tempia» della Bignardi), appartenendo a quel genere di fiction buonista e dolciastra in cui gli sceneggiatori italiani si sono da tempo specializzati, ma evidentemente si preferisce assistere a una storia con un minimo di struttura narrativa che affidare la propria serata televisiva al desolante senso di vuoto procurato dai reality. Don Matteo è il tipico telefilm consolatorio, scacciapensieri, anche se questo genere di lettura è il più convenzionalmente scontato e superficiale. A ben guardare, è anche un imbarazzante e impietoso ritratto dell’Arma dei carabinieri, i cui rappresentanti vengono identificati in questa fiction con un tale tasso di goffaggine e imperizia da riavvicinarli all’iconografia tramandataci dalle barzellette, che si pensava e sperava superata. Ci si meraviglia, di conseguenza, che l’Arma collabori a questo prodotto come si evince dai titoli di coda, anziché aver provveduto da tempo a sporgere querela per «diffamazione a mezzo fiction», opportunità che il codice dovrebbe prima o dopo prevedere. Già il fatto che in ogni episodio i carabinieri non riescano a risolvere nemmeno un caso senza l’aiuto di Don Matteo è una consuetudine che oltrepassa ormai la finzione scenica e diventa un messaggio non certo subliminale. Ma anche il modo stesso in cui si concretizza questa impotenza è tutto da gustare, descritto con una reiterata perfidia che lo sguardo vagamente ebete e il sorriso d’ordinanza di Terence Hill-Don Matteo non riescono del tutto a cancellare. Non passa puntata che il prete, colloquiando con il comandante della locale caserma dei carabinieri in merito a un’indagine in corso, non sia costretto a ripetergli: «Non nota niente capitano? Proprio niente di strano in questa serie di indizi?», e non esiste risposta che incoraggi il pubblico a ritenere che, nel corso dei mesi, vi sia almeno un minimo di progresso da ascrivere a chi ha la responsabilità di sovrintendere alla sicurezza pubblica. Né attestazioni di particolare acume arrivano dai suoi collaboratori più stretti, con in testa Nino Frassica. Alla resa dei conti, quindi, non è vero che Don Matteo sia un telefilm scacciapensieri.

Fa anzi riflettere, a suo modo, sul motivo per cui i nostri beneamati carabinieri, dopo aver tanto lottato per emanciparsi da certi ingenerosi luoghi comuni, accettino senza fiatare la parte loro riservata in questa fiction.

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