Don Luigi Verzè domani compie 90 anni, e ovviamente guarda avanti. Lo ha sempre fatto e continuerà così nonostante a Panorama abbia confessato di voler passare la mano e ritirarsi nel cupolone del suo San Raffaele «per cominciare ad abituarsi a vivere in cielo». Tanto è vero che noi lo incontriamo al pianterreno, ufficio di presidenza dell'Università vita-salute San Raffaele. Tutto intorno la cittadella fiore all'occhiello del suo impero del bene che ha ramificazioni in mezzo mondo: ospedali, centri di ricerca, università. Tutto all'insegna dell'eccellenza. E non è finita. «Siamo pronti - dice don Verzè - a lanciare la prima Scuola superiore in Scienze dell'Uomo». Obiettivo: preparare una generazione di scienziati capaci di sconfiggere il male, di allungare la vita oltre il limite che oggi noi possiamo immaginare.
Don Verzè, ci risiamo con il sogno dell'immortalità?
«Guardi, il Signore non ha creato la morte e non ha messo la malattia dentro le nostre viscere. Quindi...».
Quindi?
«Dobbiamo avere il coraggio e l'ambizione, attraverso la ricerca, di tornare lì, all'inizio dei tempi».
E come era l'uomo all'inizio dei tempi?
«Lo dicono le scritture: a somiglianza di Dio. Quindi Adamo era bello, altrimenti non sarebbe uscito dalle mani di Dio e lo stesso non sarebbe stato soddisfatto del suo lavoro. E in più non aveva il problema della morte».
Teologicamente parlando è chiaro, ma la vita reale è altra cosa.
«La mia nuova sfida è proprio andare oltre questo concetto. L'uomo è composto di corpo, che è l'armonia di elementi che diventano materia, l'intelletto, cioè il pensiero, l'anima, cioè lo spirito. Fino a che continuiamo a considerarli separati uno dall'altro non ne usciremo mai».
Già, ma come uscirne?
«Siamo all'inizio. Dobbiamo studiare, pensare, camminare. Nella mia università ci sono corsi di medicina, di filosofia e di psicologia. Ora ne aggiungiamo uno che è la sintesi dei tre. Serve una figura di scienziato che sia la sintesi estrema e più alta di medici, filosofi e psicologi. Siamo fatti di intelligenza, dobbiamo capire che cosa è. Non basta la neurologia, bisogna decifrare come si forma il ragionamento, bisogna analizzare il cervello in attività perché tutto parte da lì».
E questo ci darà l'immortalità?
«La patologia non va tamponata ma risolta alla radice. Bisogna passare dalla medicina preventiva a quella predittiva. Già oggi qualche cosa si può fare. Per esempio possiamo leggere il genoma, abbiamo capito come funzionano e come si possono usare le cellule staminali. La soluzione di problemi come i tumori o la sclerosi multipla è più vicina di quanto si pensi. Bisogna non aver paura di compiere l'ultimo passo».
Da sacerdote non si pone problemi etici avventurandosi verso queste territori?
«I problemi li pongono gli ecclesiastici, non la Chiesa, basta leggere la Bibbia».
Quindi avanti con la neuroscienza cognitiva, nome difficile di questa nuova frontiera?
«Non ho esitazioni, sono il nodo cardanico per raggiungere l'obiettivo. La nostra vita dipende tutta dal cervello. Un chilogrammo e mezzo di tessuto che recepisce, pilota, segnala e collabora in miliardi di modi con tutto quello che in noi c'è di materia, di pensiero e di spirito. Oggi ci sono macchine di altissima tecnologia che ci fanno guardare dentro la scatola cranica e ci permettono di osservare come il cervello vivente risponde a stimoli specifici, li elabora e prepara delle risposte».
Anche agli attacchi delle malattie?
«Certo. Ma è la qualità della vita in generale che potrà migliorare. Dobbiamo capire che cosa ci spinge a ragionare in un certo modo in ambito economico e morale, cosa ci consente di apprezzare una certa musica, di parlare la nostra lingua madre e di impararne altre. Il cervello è onnipotente. Impareremo a leggere dove è scritto che Dio esiste. Io credo che esiste, in futuro la ricerca potrà permetterci, perché no, di vederlo, sentirlo».
Non è che lei sta teorizzando l'intelligenza artificiale, l'uomo robot?
«Assolutamente no. Adamo visse 900 anni, Non mi risulta fosse una macchina, un automa. I ragazzi credono più nei computer che in loro stessi perché non hanno capito una verità molto semplice».
Quale?
«Che siamo noi uomini che imprestiamo la nostra intelligenza alle macchine, non viceversa. Senza i frutti della nostra intelligenza i computer non esisterebbero. Sono solo strumenti, l'uomo è il centro dell'Universo e io lì voglio riportarlo.
Auguri, don Verzè, altri novanta di questi giorni.
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