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Donadoni a nervi tesi: «Basta processi»

E attacca i critici: «Non è l’ultima spiaggia. Prima di parlare in tv bisogna informarsi»

Nostro inviato a Parigi

«A naso mi sembra una brutta domanda». Roberto Donadoni ha già il nervo scoperto e si può capire. Non vuol sentir parlare di ultima spiaggia e non perché adori la montagna e della spiaggia di Tirrenia, frequentata ai tempi di Livorno, non ha un gran ricordo. Appena sente il cronista tv partire per la direttissima della sua panchina traballante, prova a frenarlo con quella chiosa che gela la conferenza-stampa improvvisata sui gradoni della tribunetta di Senlis. Quando la domanda, educolrata, arriva puntuale, la risposta è appuntita e disinvolta: «Non può essere decisiva la seconda partita di un girone di qualificazione». Ecco il punto, allora. Donadoni è un ragazzo per bene, conosce la letteratura del ruolo, le regole che lo governano e sembra non lasciarsi condizionare dalla precarietà del momento. «Ci son passati i miei colleghi, io faccio quel che è possibile, ho visto i miei tonici e determinati e questo mi basta», aggiunge prima di ricacciare indietro ogni tentativo di identificare questa Nazionale, la sua Italia, con Cassano e le piroette del barese uscito dal campo con la voglia di stupire (finge un diverbio con Inzaghi, ndr).
«Qui il posto stabile, fisso non ce l’ha nessuno» segnala e tanto basti per tutti quelli che abitano per una notte il castello di Chantilly e per coloro che sono pronti a intervenire. Rimasti fuori dalla Nazionale non per capriccio del ct Donadoni, ma per scelte fisiche e per necessità, squalifica o altro ancora. «Quando si va in televisione a dire perché non gioca tizio o caio bisogna essere informati» attacca duro, appuntito, Donadoni. E il suo riferimento arriva dritto al cuore delle tribune televisive di domenica sera, la Domenica sportiva e i suoi opinionisti in libertà.
Ha i riccioli sale e pepe appena modellati dal gel, Roberto Donadoni: per ogni ricciolo un argomento da rovesciare sulla critica. A un francese che gli chiede «ma lei si sente sotto pressione?», il ct d’Italia risponde secco: «Assolutamente no». E così via fino a indicare la strada maestra che è poi quella già tracciata nei giorni scorsi. «Non ci lasceremo intidimire da un ambiente ostile» la sua sicurezza. «È la Francia che forse rischia qualcosa» è il ragionamento firmato da Enzo Bearzot che accoglie e rilancia volentieri. La considera una specie di ciambella: chissà se poi ci crede fino in fondo. «Noi dobbiamo uscire a testa alta» è l’invito orgoglioso diretto ai suoi. Non ci resta che vincere, fa alla fine un cronista e lui, Donadoni, che è uomo di calcio autentico, temprato dai successi e dalle sconfitte, corregge al volo. «Non ci resta che giocare perché vincere è una possibilità». Non ha l’aria del gradasso, non ha la vocazione del Ct che spara sentenze. E non vuole nemmeno sentirsi dire che si ritrova, dopo 90 minuti appena che sta seduto sulla panchina azzurra, all’ultima spiaggia. «Non ci penso proprio.

Penso a preparare bene la sfida» e se ne torna in albergo, anzi nel castello, a rivedere cassette e filmati della Francia rosicona.

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