Malgrado apprezzi molto la polenta con gli usèi e non disdegni neppure i casonsèi col burro e la salvia, a Bergamo, a vedere la partita, non ci vado mai. E malgrado stia a 40 minuti da Milano. Neanche morto. Eppure lultima volta che andai a vedere un Atalanta-Napoli correva la mitica stagione 1986/87, lanno del primo scudetto. Si giocava di sera e in campo con la maglia azzurra cera la MaGiCa. Forse con loro cera già Doni, che credo sia nato nello spogliatoio. Bastò un golletto nel finale di Bruno Giordano per mandarli a casa a mangiarsi gli avanzi della polenta. Chissà perché non ho ugualmente un bel ricordo. Ho ancora nelle orecchie gli insulti gutturali del più becero razzismo. Perfino i vigili fuori dallo stadio guardavano con odio le nostre facce soddisfatte. Dissi mai più, eppure avevamo vinto. E tutte le volte mi dico che ho fatto bene perché venire a Bergamo ci porta più sfiga che rompere uno specchio davanti a un gatto nero. Ma forse non è neanche sfiga. È che lAtalanta, squadra modesta che le busca da cani e porci, quando si trova davanti il Napoli diventa per lappunto tarantolata, con i giocatori che si ammazzano per 90 minuti con la bava alla bocca, co sto Doni (ma quanti anni ha, quando va in pensione?) che si trasforma in Zidane e tutti gli altri dietro.
Ieri, anche dopo il pareggio, ero matematicamente certo che avremmo perso perché per loro battere i napoletani «che non si lavano» è la sfida della vita, la devono al loro pubblico per statuto. Poi tornano quelli di sempre.Ma Doni quando va in pensione?
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