Sono passati 25 anni da quando, ancora poco più che adolescente, Claudia Capodarte ballò per la prima volta con uno squalo. Non stava sognando, anzi i suoi occhi erano spalancati di fronte a quella creatura che nellimmaginario collettivo è associata a pensieri di sangue e di morte. La paura dellattesa, lansia del pericolo, erano svanite di colpo e lei, sospesa nellacqua e lontana da tutto il resto, sorrideva e si sentiva in pace. «Ancora oggi - racconta - quando mi capita di essere triste, delusa per qualcosa che mi è successo, vado in mezzo agli squali e dincanto ritrovo la pace. Sono animali che mi danno grande serenità, non sono dei mostri come si tende a dipingerli, anche loro hanno voglia di ricevere attenzioni e carezze».
Da quando Claudia lo ha capito la sua vita è cambiata in maniera radicale: si è accorta che il suo destino era segnato e che apparteneva a un altrove distante dalla terraferma. Accompagnata dal fratello Leonardo, suo insostituibile angelo custode dietro la telecamera, ha iniziato a raccontare quello che ancora non sapeva, quello che con il passare del tempo è riuscita a rendere meno appannato. Così ha girato più di cento documentari in appena due lustri, spingendosi in ogni angolo del mondo ed entrando in contatto con le specie più rare e pericolose.
Oggi Claudia e Leonardo, dopo tanto vagare, hanno fatto ritorno a Roma, loro città natale, per raccogliere i frutti del loro lavoro, per ricevere lantico e prestigioso «Tridente doro», una sorta di Nobel conferito ai benemeriti del mare, istituito nel 1960 dallAccademia internazionale di scienze e tecniche subacquee. La cerimonia è prevista per domani pomeriggio alle ore 17 nello spazio Pelagos di «Big Blu», la rassegna di cui ci occupiamo diffusamente in questa stessa pagina. Alla cerimonia saranno presenti personaggi del mondo della subacquea internazionale e il celebre documentarista Folco Quilici.
Ma ogni punto darrivo presuppone delle tappe intermedie e, soprattutto, un approccio inedito, ardito ma vincente. «Mi sono accostata al mondo del mare in maniera non scientifica - spiega la sub romana - ho preferito unesperienza diversa rispetto a quella tipica dei biologi marini, che si limitano a osservare senza interferire. È lodevole certo, loro mirano ad apprendere le abitudini degli squali per proteggerli e salvarli, ma io volevo andare oltre, farmi conoscere da loro e arrivare a conoscerli a mia volta. Sarebbe stato come rompere un tabù».
Ed è di fronte a questa rottura prima solo immaginata, poi tradotta in pratica contando solo sul suo istinto, che Claudia ha deciso di lasciare a terra la bussola della logica e di cominciare ad assecondare gli squali, dando vita a un interscambio basato semplicemente sulla fiducia. «Loro captano ogni vibrazione, ogni movimento - continua - capiscono che non cè nulla da temere, si instaura un particolare feeling e l'animale diventa la tua favola anziché il tuo incubo».
Così ha trovato la forza per spingersi lontano, fino al Sudan, allHonduras e alle Bahamas, arrivando a farsi circondare dal branco senza nessuna protezione, da una «nuvola di squali», come lei ama chiamarla. La sua prossima sfida, la più estrema, è quella di avvicinarsi a uno squalo bianco. «Ci sto seriamente pensando - ammette dopo qualche reticenza - non posso dire che non siano predatori, che non siano potenzialmente pericolosi, tutto dipende da che tipo di sollecitazioni ricevono. È ovvio che se si trovano in zone di scarsa visibilità, per giunta circondati da altro cibo, possono scambiare un uomo per una preda. Ma in via generale non è così. È la stessa cosa che accade a noi quando ci ubriachiamo, saliamo in macchina e diventiamo una minaccia. Non vorremmo falciare nessuno, ma succede».
Claudia, perciò, si scaglia con tutti i suoi colleghi o presunti tali che utilizzano il cibo e il sangue per eccitare gli animali e renderli aggressivi, facendo loro incarnare in pieno quello stereotipo che si trovano appiccicato addosso. E allo stesso tempo non approva quanti criticano la pratica del feeding, che consiste nellattirare gli squali con degli odori intensi. «Non è possibile che ciò alteri la loro alimentazione», puntualizza.
Altre passione dei fratelli Capodarte sono le murene, le tartarughe e le balene, che passerebbero ore a farsi togliere i parassiti dalla pelle. Talmente forte è lempatia che si crea con certi esemplari che Claudia è arrivata a dare dei nomi ad alcuni di loro. È il caso di una razza gigante, con unapertura alare vicina ai due metri, ribattezzata «codamozza».
Ed eccoci al punto darrivo, allambito «Tridente doro», già assegnato a titani del settore come Jacques Cousteau, Walt Disney o Jacques Piccard. «Quello che mi spinge a trascorrere più tempo possibile a contatto con le creature del mare - commenta Leonardo Capodarte - è la curiosità, la voglia di assistere a quegli episodi lontani dalla vita reale e di capirne limportanza.
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