Donne avvocato, oltre il 50 per cento vittime di discriminazioni sul lavoro

L’indagine: quattro togate su sei hanno dovuto rinunciare a nozze e bebè per la professione

A conti fatti anche loro avrebbero bisogno di un buon legale. Perché anche loro, una volta appesa la toga all’attaccapanni, sono vittime di pericolose e talvolta subdole discriminazioni in ambito lavorativo. È questo il dato che emerge da una ricerca effettuata dal Comitato pari opportunità delle donne avvocato milanesi. Il questionario, redatto ed elaborato dagli avvocati Giovanna Fantini e Ilaria Li Vigni, verrà presentato domani nell’aula magna del Tribunale. «La professione forense al femminile nell’anno europeo delle pari opportunità», questo il titolo della giornata di studio e (perché no) anche di riflessione su una professione che negli ultimi anni ha visto crescere al suo interno una forte componente femminile.
La maggioranza dei questionari è stata compilata da donne avvocato (96%), solo un’esigua minoranza è pervenuta da praticanti. Donne avvocato per la maggior parte coniugate (54%), che si dividono equamente con un bel 50% a testa fra chi ha figli e chi non ne ha. Ma quanto ha influito sulle scelte personali lo svolgimento dell’attività professionale? Il 62 per cento ha detto di esserne rimasta condizionata. Il 40% ha dovuto rinunciare o rinviare la maternità, il 26% il matrimonio. La fascia maggiormente condizionata risulta essere quella tra i 36 e i 46 anni. E non è un caso, visto che è proprio l’età in cui le donne (professioniste laureate) si sposano e vogliono figli. In totale il 51 per cento delle intervistate ha dichiarato di aver subito discriminazioni. Il restante 49 per cento afferma comunque di aver dovuto rinunciare o rinviare il matrimonio o l’arrivo di bebè. Ma da chi si sente discriminata? Il 53 per cento ha puntato il dito contro i colleghi, ma, pur se in misura minore, anche da parte di magistrati e personale di cancelleria. La discriminazione maggiore riguarda la minore retribuzione rispetto al collega maschio, l’affidamento di pratiche di minore importanza e i criteri di selezione per l’ingresso in studio. Da parte dei clienti invece la discriminazione si manifesta nella preferenza per un avvocato uomo.

In molte hanno dovuto sopportare il rientro obbligato subito dopo il parto, pena la perdita del posto o, dopo la nascita del primo figlio, al tentativo di riduzione della percentuale di partecipazione alla associazione e alla divisione degli utili. E non sarà un caso che la materia più trattata dalle donne avvocato a Milano (52%) è proprio il diritto di famiglia.

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