Con le «Donne che odiano le donne» la Maiolo racconta il suo licenziamento

Ci sono «Donne che odiano le donne». Tiziana Maiolo, ex assessore del Comune, ci ha scritto un libro (edito da Mondadori, nelle librerie da martedì prossimo). «In tante mi dicono: il miglior killer di una donna è sempre un’altra donna». E l’ultimo colpo glielo avrebbe affondato il sindaco Letizia Moratti, che due anni fa l’ha costretta a dimettersi dalla giunta. Si prende la rivincita in due capitoli: «Quelle che hanno il cicisbeo» e «Quelle che ti uccidono». «Ci siamo incontrate in un bel giorno di primavera, ci siamo lasciate in un’infausta giornata d’autunno» racconta in prima persona: «“Non c’è più niente da chiarire“, impettita su quel divanetto, con le consuete gonnelline a pieghe da bambina cresciuta. “Il diavolo veste Prada“ ho pensato. E subito, perfida: “Veste Prada, ma lo porta male“». Il rapporto era iniziato bene, ricorda «il giorno di primavera quando mi aveva accolta nella sua bella casa calda di boiserie e di fiori». Con lei c’era Paolo Glisenti. All’ex braccio destro della Moratti dedica pagine velenose (lo ritrae come un «cicisbeo», ricorda quando la convocò in ufficio con un bel plico di fotocopie sottolineate: «Sono tutte tue dichiarazioni fuori luogo»).
Quel giorno il futuro sindaco le assicurò un posto in giunta. Le sembrò «una Thatcher italiana, la decisionista capace di mettere nel sacco qualunque uomo», entrò «silenziosa come un cobra, seduttiva come solo una grande attrice sa essere». Eppure, qualche mese dopo «un mio collega che era anche suo grande amico mi dirà: “Quando la vedi sciogliersi in grandi sorrisi, sappi che non è sempre spontanea“». La Maiolo voleva candidarsi sindaco. Arrivò «con quattro faldoni di 9mila firme» raccolte dai comitati. «Letizia li ha subito accettati, in 5 minuti mi garantisce che sarò assessore e addirittura mi spara addosso: “Se hai problemi con il tuo partito, parlo io con Berlusconi“. Sono gonfia di ammirazione, il mio cuore di femminista urlava di gioia». È durata poco.
La Maiolo ricorda le «ragazze-coccodè che inseguivano il potere sotto l’ala del sindaco», le giunte dove gli assessori facevano «solo le belle statuine, chi voleva discutere era sgradito». L’«affondamento» arriva il 17 settembre 2008. Salutò il capo dei commessi, con Ave Caesar, «senza riflettere sul seguito, morituri te salutant».

Si rammarica («stavo male, il mio compagno se ne stava andando e lo sapeva»), ricorda la scena come un film: «“Tutto quello che sai fare è uno spot“ “ho dovuto sostituirti io anche nella moda“, “non si tratta più di divergenze ma di incompatibilità, il nostro rapporto è esaurito“. Bene, le ho detto, non starò un attimo di più dove non sono gradita. Addio. Ho preso la porta. In 2 minuti sono stata licenziata».

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