Sarebbe auspicabile che qualcuno al governo prendesse atto delle conclusioni a cui sono arrivati i partecipanti al raduno delle comunità di immigrati di origine marocchina che si è tenuto in questi giorni a Roma. Vale a dire, il raduno di oltre un terzo del milione e mezzo di musulmani, tra clandestini e regolari, che oggi vivono nel nostro Paese, la «massa critica» di quell’islam moderato di cui non facciamo che invocare a parole la presenza, salvo poi sconfessarlo regolarmente nei fatti.
Sono conclusioni di una chiarezza disarmante. Dal convegno di Roma sono arrivate infatti una serie di assunzioni di responsabilità ben precise: un secco «no» all’introduzione nel nostro ordinamento del matrimonio islamico che «di per sé contempla la poligamia e la negazione di molti diritti della donna». Un «no» altrettanto inequivocabile al proliferare incontrollato di moschee e di scuole islamiche dove si insegna l’odio per le altre confessioni religiose e per i valori dell’Occidente e che «rubano così il futuro agli immigrati di seconda generazione». La condanna senza appello delle false interpretazioni del Corano che fanno del velo islamico uno strumento di oppressione e di reclusione. Ma soprattutto quello che emerge dal raduno romano è un messaggio di grande importanza per chi ha oggi il dovere di affrontare le esigenze e i problemi dell’immigrazione: la netta presa di distanza dalle dottrine integraliste dell’Ucoii, l’associazione che, forte del suo controllo sulla maggior parte delle moschee del Paese, pretende di rappresentare l’insieme delle comunità e delle organizzazioni islamiche in Italia. «Noi», hanno ribadito i partecipanti al convegno, «siamo altra cosa da chi non persegue un disegno di effettiva integrazione ma solo quello di insediare nella società italiana una società islamica fondata sull’oscurantismo e su una visione distorta della nostra identità».
È la conferma di una realtà con cui gli osservatori più attenti oggi cominciano a fare i conti. Il vero scontro di civiltà non è tra l’Occidente e il mondo arabo e musulmano: è quello in atto, in quel mondo così come nei Paesi europei, tra l’islam estremista e radicale e un islam che vuole rientrare nella storia imboccando con decisione la strada della modernizzazione e delle riforme. Anche per questo i rappresentanti delle comunità marocchine in Italia guardano con preoccupazione, e con amarezza, al sostanziale fallimento della Consulta islamica. Paralizzata non solo dai veti dell’Ucoii in quella che doveva essere la sua azione di sostegno ad un islam italiano progressista e riformatore. Ma ancora di più dall’arrendevolezza con cui il governo questi veti li ha accolti e li ha fatti propri. Per questo, invece, guardano con qualche speranza in più all’iniziativa del ministero delle Pari opportunità che si propone di avviare la costruzione di un «Forum» di donne di varie nazionalità e religione con il compito di scrivere le «regole inviolabili di cittadinanza» per gli immigrati e dare spazio alle persone meno visibili. La speranza che questa iniziativa sia un segnale di un cambiamento di rotta in una politica di governo contrassegnata finora da continui cedimenti di fronte all’avanzata aggressiva degli integralisti.
A questo proposito, c’è un suggerimento che alcuni rappresentanti delle comunità marocchine si sentono di inviare al ministero di Barbara Pollastrini: d’accordo con i Paesi arabi più avanzati dove questo progetto è già allo studio, apriamo le porte delle moschee alle donne. Riconoscendo loro se non proprio la qualifica di imam, almeno quella di responsabili di corsi speciali di catechismo e di istruzione.
Donne nelle moschee per dare voce all’islam moderato
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