Ieri mattina cinque interminabili ore di battaglia e un nostro soldato lievemente ferito nella caldissima provincia di Farah. Ieri pomeriggio - non lontano da Herat - il micidiale attacco con una moto bomba risoltosi, grazie alla tenuta del nostro automezzo Lince, con il ferimento di altri quattro militari (per due di loro non è stato necessario il ricovero). Quei due attacchi a poche ore di distanza sono l'ennesima prova di una tensione in continuo e costante aumento. Una tensione destinata ad intensificarsi con l'avvicinarsi delle elezioni presidenziali del prossimo 20 agosto. Non a caso proprio ieri a Khost, nell'est del Paese, i talebani hanno lanciato una serie d'attacchi suicidi a raffica utilizzando sette kamikaze in un colpo solo per colpire le posizioni governative. E proprio ieri l'inviato Usa per il Pakistan e l'Afghanistan, Richard Holbrooke, ha ammesso che lo svolgimento delle elezioni in queste condizioni «potrebbe rivelarsi decisamente e straordinariamente difficile».
L'escalation in corso all'interno della complessa pentola a pressione afghana non risparmia i nostri militari. I due incidenti susseguitisi a poche ore di distanza in due zone molto diverse del settore a comando italiano sono - al di là del bilancio e delle modalità - altrettanto gravi. L'utilizzo di una moto imbottita d'esplosivo con innesco a distanza in una zona relativamente tranquilla come quella di Herat testimonia il tentativo degli insorti di ricorrere a tecniche sempre nuove e inattese. L'obiettivo non è soltanto sorprendere i nostri militari, ma anche mettere alla prova la tenuta dei nostri Lince, il veicolo blindato più efficiente e più sicuro fra quelli in dotazione ai contingenti internazionali sul territorio afghano. Quella sicurezza, come ha dimostrato l'attentato costato la vita al paracadutista Alessandro Di Lisio, resta appesa a un filo. Basta aumentare la carica o cambiare il sistema d'attacco per mettere a seria prova la tenuta del veicolo. Per questo l'attentato di Herat è più grave delle cinque ore di battaglia di Farah.
L'interminabile scontro a fuoco costato la frattura del braccio ad un nostro militare e prolungatosi anche dopo l'intervento dei nostri elicotteri Mangusta testimonia però la complessità della partita. Una partita dove la superiorità d'armi e mezzi non basta più a garantire la risoluzione in tempi brevi di battaglie e incidenti e deve, sempre più, far i conti con le difficoltà del terreno e le accresciute capacità militari degli insorti.
Tutto inizia verso le nove di mattina, ora afghana, quando una nostra unità composta da parà del 187° reggimento Folgore e del 1° reggimento bersaglieri si ritrova sotto il fuoco nei dintorni di Bala Boluk, una delle aree più calde della provincia di Farah circa 50 chilometri a nord dall'omonimo capoluogo. In quella situazione i nostri militari devono garantire non solo la propria sicurezza, ma anche la protezione delle forze dell'esercito afghano con cui stanno compiendo un'operazione congiunta. Intorno a Bala Boluk, richiedere l'intervento aereo significa, però, mettere a repentaglio la vita dei civili prigionieri dei centri abitati da dove aprono il fuoco talebani ed insorti. Così, per evitare il rischio di perdite collaterali, si preferisce attendere l'arrivo degli elicotteri Mangusta più precisi nell'individuare la minaccia e nel neutralizzarla. L'accuratezza di fuoco unita alla volontà di evitare perdite inutili richiede però tempi lunghi, soprattutto quando l'operazione prevede anche il coordinamento delle combattive, ma non sempre disciplinatissime unità afghane.
L'azione seppur lenta consente alla fine la completa neutralizzazione della minaccia. In quelle cinque interminabili ore di battaglia uno dei nostri bersaglieri subisce però la frattura dell'ulna del braccio destro. Le sue condizioni non sono gravi e verrà dimesso entro pochi giorni.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.