Sino ad ora la Finanziaria più tormentata della storia della Repubblica è stata dissezionata, commentata, attaccata, principalmente sulla base di argomenti sociali e politici, tuttavia le analisi hanno spesso tralasciato un aspetto fondamentale, prettamente economico, che è alla base dei downgrades del debito italiano operati da Standard and Poor's e Fitch: cioè che il basare una legge finanziaria sulle tasse piuttosto che sui tagli di spesa non è solo doloroso per i contribuenti, ma anche un azzardo che potrebbe risultare devastante per la tenuta dei conti dello Stato.
Il motivo è molto semplice ed è riscontrabile nella differente elasticità delle spese e delle entrate: vale a dire che si fa finta di non capire che nel caso del bilancio statale le spese sono pressoché totalmente rigide, al contrario delle tasse che (come dimostra l'imprevisto buon andamento delle entrate tributarie per l'anno in corso) sono assai variabili. Le spese dello Stato sono soprattutto pensioni (rigida, al massimo si può non aumentarla troppo, ma diminuirla di colpo è impossibile, ci vuole un progetto strutturale), interessi passivi sul debito (non controllabile) e stipendi del pubblico impiego (rigida, va controllata con largo anticipo). Se si aumentano le spese coprendole con maggiori tasse si compie un doppio azzardo: da un lato si rischia di incentivare ulteriormente l'evasione e la fuga dei capitali riducendo la base imponibile, dall'altro ci si espone al repentino calo delle entrate in caso di contrazione economica.
Il fatto è che le tasse vengono pagate sui guadagni, e in caso di recessione i guadagni diminuiscono, facendo diminuire in proporzione anche le tasse incassate dallo Stato, indipendentemente dal livello a cui esse sono fissate. Non solo, un alto livello di tassazione spesso è di per sé causa di accelerazioni recessive.
In poche parole lo Stato è come un «precario», dallo stipendio assolutamente variabile ma dalle spese incomprimibili: se non si sfruttano gli anni di «vacche grasse» come l'attuale per ridurre le rate del «mutuo» che grava sul nostro Paese si compie un salto nel buio. Il nostro Stato «precario», nel momento in cui alza le tasse non fa altro che fare la voce grossa con il suo datore di lavoro (che poi siamo noi cittadini) per ottenere un aumento di stipendio, ma l'aumento si può concedere solo se la fabbrica va bene, altrimenti si rischia di essere messi in cassa integrazione, con la differenza che nessuno pagherà per noi. Un mancato rientro all'interno dei parametri imposti dal Patto europeo di Stabilità a causa di una politica finanziaria dissennata, non troverebbe più la benevolenza dell'Europa che ci fu nel caso della crisi seguita all'11 settembre, ma farebbe scattare sanzioni finanziarie, che farebbero aumentare ulteriormente le spese, giù in una spirale che avrebbe come sbocco decisioni drammatiche come la riduzione delle pensioni, l'imposizione di tasse patrimoniali su casa e beni e il licenziamento di numerosi dipendenti pubblici.
Se il governo non se ne rende conto è un problema serio, se invece ne è consapevole le possibilità sono due: o sta facendo una scommessa rischiosa, sperando nel perdurare della congiuntura economica favorevole, o sta facendo un calcolo maligno, contando sul fatto che un eventuale fallimento (con conseguenti decisioni estremamente impopolari per porvi rimedio) tanto non verrebbe più gestito da loro.
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