Marzia Fossati
Una entreneuse sa sempre esattamente quando ha inizio la sua serata lavorativa, ma non può prevedere né quando, né dove terminerà. E nemmeno i gestori del night possono saperlo, dal momento che, come la saracinesca del locale viene abbassata, le ballerine sono libere di arrotondare, se lo ritengono opportuno, il loro peraltro già cospicuo salario come meglio credono, a casa di un cliente conosciuto poco prima, a qualche festino particolare, o addirittura sul marciapiede. Il night non è più responsabile delle azioni delle ragazze dal momento in cui oltrepassano la soglia dell’ovattato salottino scuro per ritornare nella notte che le riaccoglie come vecchie amiche di sempre. Prima di lasciare il locale, le «girls» si mettono tutte in fila, come scolarette a fine lezione, fuori dall’ufficio per procedere al rito del pagamento degli stipendi, spesso regolati da un contratto di prestazione occasionale per la sola serata e, una per volta, firmano il foglio prestampato, mentre con l’altra, già tesa e ben aperta, arraffano il malloppo la cui consistenza dipende essenzialmente dal grado di resistenza del fegato dei clienti. L’entreneuse ha diritto infatti a una percentuale che si attesta intorno ad 1/4 del valore di ogni consumazione, che va da un minimo di 10 euro per un semplice cocktail a un massimo di 400 euro per una bottiglia di champagne pregiato, il caso più fortunato per cui, se la matematica non è un’opinione, l’intrattenitrice incassa 100 euro sull’unghia senza fare alcunché. Per quanto invece riguarda il privé, dove è previsto, la tariffa viene divisa esattamente a metà, e va dai 50 euro in su, ma questa è un’altra storia.
Io personalmente ho preferito non vedere il becco di un quattrino piuttosto che firmare un documento che sarebbe rimasto, con la sfiga che ho, negli annali del locale, e con una serie di scuse imbarazzanti su cui più che un velo pietoso stenderei una compassionevole coperta di lana, mi sono catapultata fuori dal tempio della perdizione. Erano anni ormai che non mi capitava di sentirmi così sobria al termine di un venerdì sera, anche perchè i drink serviti alle ragazze durante la serata, seppur qualitativamente alti, sono leggeri al punto che per guadagnare una sana sbronza ne sarebbero necessarie almeno tre botti.
All’uscita del night, però, una malsana idea si impadronisce repentina delle diaboliche menti dei miei due amici-complici, ossia: è ormai evidente che la vita, la vera vita di una entreneuse, di una ballerina di night, non si consuma all’interno del moquettato ambiente dalle luci soffuse e dalla musica tamarra (lenti italiani anni ’60-’70, dance anni’80, e quanto di più trash si possa trovare negli archivi della fiera del disco) dove lavora fino alle prime luci dell’alba, ma fuori da lì. È fuori dal locale che da comparsa di una commedia italiana di serie b, la «nightgirl» diviene protagonista, prima attrice su un palcoscenico trasgressivo quanto sarà lei a deciderlo.
Ed è così che, intorno alle 5 di mattina, mi ritrovo in piazza Cavour, di fronte al mercato del pesce, immancabile ed insostituibile punto di partenza, o di arrivo, nei casi più iellati, della carriera di ogni lucciola di strada genovese che si rispetti. Non ho nemmeno bisogno di ricorrere a trucchi o travestimenti: dopo la serata appena trascorsa, sono talmente sconvolta, col mascara sbavato e le borse sotto gli occhi a triplo strato, da sembrare appena scesa da un gommone proveniente da Tirana.
(3 - continua)
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