Sembrava la tempesta in un bicchier d'acqua la battuta di Bossi sul ritorno dell'Ici ai Comuni. Chi l'ha maggiormente smentita è il grande tessitore di Bergamo, Roberto Calderoli, che ha dichiarato di essere disposto a darsi alle fiamme piuttosto che ripristinare l'imposta comunale sulla prima casa. Ma essa è servita a mostrare qualche differenza di filosofia politica tra Lega e Popolo della libertà.
Il partito fondato da Berlusconi, fin dalle origini, tende a porre come principio la libertà e quindi la proprietà privata come lo spazio della società civile e la sua propria realtà rispetto allo Stato che ne rappresenta la garanzia e il fondamento. Con ciò il partito di Berlusconi si muove nelle categorie europee tradizionali, la nazione è perciò il suo riferimento all'Italia come fondamento umano e culturale dello Stato. E pensa quindi all'unità della nazione come antecedente alla stessa unità della Costituzione. L'Europa non è divenuta né un comune Stato né una comune patria e il consenso ad essa si misura sul consenso dato dai cittadini al loro Stato e alla loro nazione.
La Lega pensa nel quadro dell'idea comunitaria, cioè di un vincolo etico ed etnico che non si fonda sullo Stato e sulla nazione Italia, ma sui singoli popoli che fanno parte del sistema Italia. Bossi è uscito dal principio del separatismo e intende proporre con il federalismo fiscale un sistema Italia come composto dai vari popoli e organizzato nei Comuni, nelle Province, nelle Regioni.
È dentro l'Italia dei popoli che può nascere una comunità lombarda e una comunità veneta: al meglio, una comunità padana che comprenda anche il Piemonte. Lo Stato è così marginalizzato ai compiti di ordine pubblico, a cui i popoli d'Italia devono essere associati. L'ethos politico è affidato alle singole comunità e ciò che unisce il sistema è il fisco. Si tratta di organizzare le differenti istituzioni e comunità sulla base di un imposta propria.
Ciò che è veramente unitario in questo schema non è più lo Stato nazione ma è il fisco: l'identità è affidata al locale. Vi è certamente la traccia di un pensiero, presente sia a sinistra che a destra nella cultura politica, che solo il locale può dare un senso di identità e quindi contrastare l'individualismo etico che determina la cultura contemporanea e le scelte degli individui.
L'idea della diminuzione dello Stato, cioè la rinuncia al moderno, è un pensiero antico e nuovo, e ciò dà alla militanza leghista la carica di una nuova possibilità da realizzarsi costituendo una comunità etica ed etnica che lo Stato nazione non è più in grado di consentire. Ne viene che la tematica berlusconiana della riduzione delle tasse viene trasformata nella loro razionalizzazione in funzione dell'attuazione del principio comunitario affidato ai vari enti regionali e locali.
Che queste differenze culturali si facciano sentire nell'evoluzione del tema sembra evidente. Non a caso Calderoli ha discusso il suo tema non con i partiti ma con le Regioni, ha cercato il consenso degli enti direttamente coinvolti e li ha affascinati con l'idea di avere imposte proprie assicurate e garantite.
Ma sta il fatto che la Lega ha ricevuto i voti nelle elezioni di aprile, in funzione non del federalismo fiscale che affascina la sua dirigenza e la sua militanza, ma in funzione delle posizioni sulla legalità e sull'immigrazione su cui ha parlato un linguaggio più deciso che non quello parlato dal Popolo della libertà. Se i sondaggi danno la Lega in crescita, come pare, ciò è dovuto in parte al ministro Maroni, che è un efficace ministro dell'Interno e agisce proprio in funzione di quello Stato che non è negli amori della Lega.
La forza della Lega sta nella sua parzialità, nel fatto di avere un'utopia (il locale come identità etica) e una militanza, ma non corrisponde all'elettorato dello stesso Nord che ha votato in termini di destra-sinistra e non in termini di nazionale-locale. Senza l'apporto di Berlusconi, la Lega avrebbe la forza di una minoranza e di una militanza, non la forza di un governo.
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