Dormiva sui treni, oggi è imprenditore

È presidente di 27 associazioni pakistane e fa anche parte della Federazione di cricket italiano

La prima cosa che tiene a sottolineare è di far parte della Federazione di cricket italiano, uno sport che ha praticato per anni come giocatore nazionale e in veste di arbitro. Syed Mohammad Arshad è nato nel 1964 a Gujrat, cittadina tra Lahore e Islamabad in Pakistan, figlio di una famiglia di agricoltori. La sua è la storia a lieto fine di chi ne ha viste di tutti colori prima di diventare quello che è oggi: un signore benestante con un'azienda florida alle spalle, un'agenzia pubblicitaria che va a gonfie vele e un impegno nel sociale.
È presidente di 27 associazioni pakistane in Italia e punto di riferimento per i suoi connazionali. (A Milano sono circa un migliaio, in Lombardia circa trentamila e sul territorio nazionale settantamila. Di professione sono per il 95 per cento operai e per il resto imprenditori).
Un diploma in economia, un interesse per la politica, da ragazzo Syed ha molti ideali. A quei tempi il potere è in mano a Zia ul Haq, il generale che rovesciò Zulfikar Ali Bhutto, fondatore del Partito del popolo pakistano. Sono anni duri e presto il giovane si trova a capo di un movimento studentesco, l'Anjvman Tulbae Islam (Unione studenti islamici) che si oppone al regime. Ma il rischio di chi protesta è di finire in galera. Syed capisce che è ora di cambiar aria. Decide di andare in Italia, prima a Roma, poi a Milano, più vicina al confine svizzero dove già è emigrato un fratello: «Era il 1984. Non parlavo l'italiano e non conoscevo nessuno - ricorda -. Tutto era nuovo, anche l'odore di caffè nei bar che allora mi disgustava. Oggi ne bevo cinque tazzine al giorno».
L'impatto con la realtà è forte per il ragazzo che decide di raggiungere il fratello in Svizzera, dove si ferma un anno. Lì conosce una slovena, la sposa, ha due figli. «Il grande oggi ha diciassette anni - dice orgoglioso - l'altro, il piccolo, è morto». Un'ombra nello sguardo, un dolore mai spento. Ma l'algida Svizzera non fa per lui, e il lavoro non decolla. Non resta che riprovare a Milano, i suoi lo raggiungeranno poi.
È il 1987, l'anno della sanatoria ma anche della disoccupazione. Vive alla Stazione Centrale, dorme sui treni, al gelo, con il terrore costante di essere scoperto dalla polizia. E poi il miracolo, l'incontro con Fratel Ettore che gli dà un letto. E la speranza. «Ero al settimo cielo - si commuove - non lo dimenticherò mai». Da quel momento inizia l'ascesa: un lavoro via l'altro come saldatore, autista, raccoglitore di abiti usati e infine operaio in una società per la depurazione delle acque: «Ho lavorato sodo, fino diventare l'alter ego del titolare, un italiano con cui ho lavorato per otto anni». Da lì a mettersi in proprio il passo è breve.
Nel 2000 decide di esportare delle macchine agricole in Pakistan, apre la sua azienda ed è un successo. Trova anche una nuova compagna da cui ha due figli, oggi di otto e tre anni. «È capitato tutto in fretta - osserva quasi stupito - è cambiata la mia vita, gli affetti, il modo di vedere le cose». In Pakistan non tornerebbe più: «Qui si vive meglio - confessa - e ormai mi sento milanese».

Syed parla un italiano eccellente, cosa che gli ha permesso di aiutare molti connazionali.
«Prima di tutto devono imparare la lingua. È il primo passo per integrarsi. Il resto viene dopo». E la sua storia lo dimostra.

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