La dottoressa Mezzogiorno riscopre l’amore in India

L’attrice gira a Roma «Lezioni di volo», il nuovo film di Francesca Archibugi

Michele Anselmi

da Roma

Anche lei, al pari di Amelio, Moretti e Olmi, sostiene che dei film che si fanno «è meglio non raccontare troppo». Lei è Francesca Archibugi, romana, 44 anni, tre figli, sei film e una fiction tv alle spalle: ex ragazza prodigio con Mignon è partita, ha saputo rinnovare in chiave intimista e letteraria la commedia italiana dei prediletti Age & Scarpelli. Era dal 2001, quando uscì Domani, ambientato nei giorni terribili del terremoto in Umbria, che non firmava un film. Dal 28 settembre scorso, dopo vari stop, riscritture e ripensamenti, è tornata sul set per dirigere Lezioni di volo. Due settimane di riprese a Roma, tra via del Babbuino e piazza di Spagna, poi via verso l’India, lungo un percorso accidentato che la porterà a Nuova Delhi, Jodhpur, Jailsalmer, Cochin, Bombay e non solo. Del film, prodotto da Cattleya e RaiCinema con il sostanzioso aiuto del Ministero dei Beni culturali, Archibugi per ora non vuole parlare. Intervistata un mese fa da Barbara Palombelli del Corriere della Sera sul tema cinema & politica, se la cavò così: «Una storia di genitori e figli, protagonista un ragazzo adottato che torna nel suo Paese d’origine. In realtà è tutto più complicato, ma è meglio non raccontare troppo». Appunto.
Qualcosa però abbiamo saputo. Che i ragazzi sono due, interpretati da Andrea Miglio Risi e Angel Tom Karumathy, che nel cast figurano Anna Galiena e Flavio Bucci, Angela Finocchiaro e Roberto Citran e che a un certo punto apparirà Giovanna Mezzogiorno, fresca della veneziana Coppa Volpi, nel ruolo di una dottoressa in missione umanitaria, stile Medici senza frontiere. Un ruolo pensato prima per Sophie Marceau, poi per Valeria Golino, alla fine s’è imposta lei e chissà che non sia la scelta migliore. Nel frattempo è cambiato anche il titolo: dal leziosetto Pollo & Curry al più metaforico Lezioni di volo.
Viziatelli, bocciati a scuola e mal sopportati dai genitori che li trovano immaturi, i due perdigiorno, soprannominati Pollo & Curry, non trovano di meglio che farsi pagare una vacanza in India dopo aver assistito al concerto di un suonatore di tabla. Così comincia l’avventura on the road. Infinocchiati, derubati, malmenati, si ritrovano quasi a vivere di espedienti. A salvarli, al termine di un accidentato viaggio in jeep, sarà Clara, bella e ruvida dottoressa italiana. Da lì la vicenda cambia registro. Perché è subito chiaro che Pollo, timido e cialtroncello ma animato da un avvolgente entusiasmo, finirà a letto con la trentenne, sulle prime alquanto malmostosa e pure sposata. Mentre Curry, che in quello scenario di malattie e miseria sembra muoversi con grande dimestichezza (in pochi giorni ha imparato a esprimersi in lingua hindi), scoprirà di essere stato adottato dai suoi genitori italiani 17 anni prima. La sua carnagione scura, del resto...
Trattasi - avrete capito - di classico romanzo di formazione, ma calato in una cornice inconsueta, poco frequentata, anche se negli ultimi anni, prima Pasquale Pozzessere con La porta delle sette stelle poi Neri Parenti con Natale in India, il cinema italiano sembra aver riscoperto quel continente lontano, ricolmo di suggestioni, colori, echi spirituali. Naturalmente dall’esperienza indiana i due adolescenti tornano migliori: e se ricominceranno a sputacchiare sui passanti dalla terrazza, magari lo faranno dopo aver pregato di fronte a un altarino a Shiva. In fondo, ama ripetere la Archibugi, «l’India si impiglia sempre nelle stanze di chi c’è stato».
È facile prevedere che la fascinazione dell’India, con il suo mix di miserabilismo e misticismo, sarà raccontata dalla regista del Grande cocomero alternando episodi buffi e picareschi a situazioni più dure, in modo da far scivolare nella vicenda uno sguardo realistico sulla condizione dell’infanzia. Ma senza oscurare il nocciolo della storia, che resta lo strano amore tra il dinoccolato, inesperto sessualmente, giovanotto e la sensuale, già spenta affettivamente, dottoressa.
Di sicuro, un ritorno atteso, una sfida a suo modo rischiosa.

Del resto, con gli anni, la regista diessina accusata di fare «film carini» ha saputo sottrarsi a una certa visione politically correct, al punto di confessare, respingendo «l’estremismo che si nutre di odio e faziosità», la seguente impressione: «A me Berlusconi sta proprio simpatico, non capisco perché sia così odiato. Dovremmo combattere il sistema di valori che ha imposto all’Italia, non la persona. Lui è quasi tenero, ostenta un grande candore, somiglia a un personaggio letterario».

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