Ma dov’è previsto che il capo dello Stato si «appelli al popolo»?

Caro Direttore,
a proposito del caso Eluana non sarebbe il caso di tornare sul comportamento di Napolitano? S’è preso una bella responsabilità respingendo il decreto. Non trova?

Sinceramente avevo molto apprezzato il comportamento di Napolitano negli ultimi mesi, ma questa volta proprio non l’ho capito. Prima di tutto non ho capito l’esigenza di mandare una lettera al presidente del Consiglio durante una riunione di governo. Una lettera, in cui, si badi bene, si affrontano alcuni temi che sono all’ordine del giorno del governo: si tratta di un’interferenza bella e buona di un potere costituzionale (il presidente della Repubblica) nei confronti di un altro potere costituzionale (il governo). Si tratta di una prevaricazione. Fra l’altro che questa prevaricazione (reale) avvenga per evitare un’altra prevaricazione (presunta), cioè quella del governo nei confronti della magistratura, dà all’accaduto una connotazione quasi paradossale. Ma davvero, poi, il decreto legge del governo era una prevaricazione nei confronti di una decisione della magistratura? Mi affido alle parole del professor Cesare Mirabelli, ex presidente della Corte Costituzionale, insigne giurista, per nulla sospettabile di simpatie berlusconiane: «Secondo me non vi era alcuna palese violazione della Costituzione e non si sarebbe determinato un conflitto con la magistratura», ha detto al «Giornale». Tanto più che, come ci ha spiegato il medesimo Mirabelli, la decisione della Corte d’Appello di Milano in questione non è una sentenza, ma un decreto. C’è una certa differenza, perché la sentenza impone la sospensione dell’alimentazione, il decreto, invece, la autorizza soltanto. Ribadisco: autorizza, non obbliga. E dunque una legge che ordina di dare acqua e cibo a Eluana non contrasta con il decreto dei magistrati, ma si muove all’interno delle possibilità che esso prevede. C’è poi una prova regina del fatto che il decreto legge è costituzionale: poche ore dopo aver respinto il decreto, infatti, il presidente Napolitano ha firmato un disegno legge il cui testo era esattamente identico (ma proprio uguale uguale). E allora: se il disegno di legge nel suo contenuto non è anticostituzionale perché lo è il decreto? C’è qualcuno che può sostenere che in questo caso non c’era una questione di urgenza? E se non c’è una questione di urgenza nel momento in cui anche i minuti contano per salvare una vita, quand’è che si può parlare allora di «questione di urgenza»? L’altra sera una Tv mi ha chiesto se temo lo scontro istituzionale. Domandano «che cosa può succedere ora?», come se fossimo alla vigilia di una rivoluzione. Qualcuno scrive che «nulla sarà mai più come prima». Per non dire di chi si arrampica sulle solite vette del «golpe» e dell’«attentato alle istituzioni» (naturalmente da parte di Berlusconi). Io, invece, penso che non succederà nulla. Di scontri istituzionali se ne sono visti molti in passato, e anche molto più aspri. E di proposte di cambiare la Costituzione tantissime (do you remember Bicamerale?) senza che nessuno facesse suonare le sirene dell’allarme sinceramente democratico.

Che, poi, a volerla dire tutta, se c’è uno scivolamento nel populismo, in queste ore, è da parte proprio di Napolitano. Non è stato lui, l’altro giorno da Napoli, che si è appellato al «popolo italiano»? E da quando in qua il presidente della Repubblica si «appella al popolo»? Dov’è previsto nella Costituzione?

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