«Dovevamo mostrare maggior fermezza»

Ci ha tenuto a far sapere che domenica, alla Sinagoga di Roma, non ci sarà e a poche ore dalla visita di Benedetto XVI alla comunità ebraica della capitale ha dichiarato al settimanale tedesco Juedische Allgemein che «durante l’attuale pontificato il rapporto fraterno tra ebrei e cattolici è diventato sempre più debole». Giuseppe Laras, attuale presidente dell’Assemblea rabbinica italiana, già rabbino capo di Milano, è uno dei fautori del dialogo ebraico-cristiano.
Professor Laras, perché queste dichiarazioni alla vigilia della visita?
«Non ci sono motivi reconditi, semplicemente ho affermato ciò che penso».
Ha detto che l’idea di annullare la visita dopo il via libera alla beatificazione di Pio XII «era stata condivisa in Italia da molti». Anche da lei?
«In un primo momento, quando è stato promulgato il decreto sull’eroicità delle virtù di Pio XII, ritenevo che la visita in Sinagoga non fosse più opportuna. Ma mi sono reso subito conto che, mancando così poche settimane, non si poteva certo sbattere la porta in faccia al Papa. Ci voleva però maggiore fermezza nel chiedere una puntualizzazione da parte del Vaticano, ci volevano parole di comprensione nei confronti dei sentimenti della comunità ebraica».
Quattro giorni dopo è arrivata una dichiarazione del portavoce vaticano padre Lombardi...
«Che è stata a mio avviso del tutto insufficiente. Padre Lombardi ha detto che una cosa è il piano storico e un’altra quello religioso e morale. Ma io non posso pensare alle mie scelte di vita su due piani diversi. Il piano religioso e quello storico non vanno disgiunti. Inoltre, tenga presente il nostro disagio nel sentire affermate le virtù eroiche di un Pontefice che è e rimane molto discusso per le sue scelte durante la Shoah. C’era bisogno di una dichiarazione tranquillizzante e più comprensiva verso di noi».
Perché ha affermato che vede affievolirsi il rapporto fraterno tra ebrei e cristiani?
«In tempi recenti ci sono stati vari “infortuni di lavoro”, come quello della revoca della scomunica al vescovo lefebvriano Williamson, negazionista sulle camere a gas. Ma, vede, nel caso del decreto su Pio XII non si può parlare di fraintendimento, di incidente, di infortunio. Benedetto XVI sapeva bene quello che faceva. Attenzione, tanto per essere chiari: beatificazioni e canonizzazioni sono una questione interna alla Chiesa cattolica, che ha tutto il diritto di agire come crede. La questione è un’altra...».
E quale, professore?
«Il Papa sapeva benissimo che dopo poche settimane ci sarebbe stata la visita e sapeva quanto alta è la nostra sensibilità sull’argomento Pio XII. Mi chiedo se non sarebbe più opportuno rimandare di qualche mese».
L’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede ha scritto e dichiarato che «l’antigiudaismo cattolico esiste ancora». Lei che cosa ne pensa?
«Sono d’accordo con lui. L’antigiudaismo esiste allo stato latente, spesso inespresso. Ma talvolta emerge. Io sono però convinto che il dialogo sia l’unico antidoto per debellare l’antigiudaismo cattolico. L’unica via è vedersi, conoscersi, discutere.

Questo è più importante delle visite ufficiali».
Non crede che la visita di domenica aiuterà il dialogo?
«Sinceramente, penso di no. Sarà la Chiesa a trarne vantaggio, ma temo non ci saranno ricadute positive sul dialogo ebraico-cattolico».

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