nostro inviato a Bari
La riduzione delle tasse a favore dei redditi bassi è utile, ma non decisiva per il rilancio dell'economia italiana. In ogni caso, «le eventuali misure di sgravio fiscale esplicano appieno il loro potenziale solo se non portano a un aumento del debito pubblico; nel nostro caso, se sono compensate da diminuzioni della spesa, che resta molto alta». Intervenendo all'assemblea annuale degli operatori finanziari a Bari, Mario Draghi sparge prudenza a piene mani intorno all'operazione di redistribuzione fiscale invocata dai sindacati e promessa, in maniera un po' avventata, dal governo.
E spiega: per avere successo, cioè un effetto positivo sui consumi e sul prodotto, le riduzioni delle imposte devono mirare «alle famiglie con i redditi più bassi, che hanno una propensione al consumo più elevata» aggiungendo però che «solo la crescita dell'efficienza produttiva» che richiede un vero e proprio «scatto strutturale» e quella «dell'offerta di lavoro» possono dare sostegno a una crescita economica duratura.
Taglio fiscale sì, dunque, ma con l'occhio rivolto a produttività e debito pubblico. E i tempi hanno la loro importanza: è vero che nei primi 9 mesi del 2007 i conti sono migliorati; ma la pressione fiscale è aumentata ancora, gli investimenti sono cresciuti meno del Pil, la spesa per interessi è molto alta. «È importante - ammonisce Draghi - che il processo di riduzione del disavanzo continui nel 2008, e una valutazione approfondita dello stato dei conti si potrà avere solo a metà anno, con i primi risultati dell'autotassazione». Una frase di evidente sostegno al ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa che, in splendido isolamento, continua a dire che non sarebbe prudente dare sgravi fiscali prima di giugno. Non ne saranno contenti i sindacati, che premono per azioni immediate accusando - come fa il segretario cislino Raffaele Bonanni - di «troppa cautela» chi gestisce l'economia.
Ma Draghi sa, e lo dice, che l'economia italiana sta rallentando vistosamente. «Quest'anno - osserva - si apre su un orizzonte dove le turbolenze finanziarie si coniugano con una debolezza ciclica». Nel Bollettino di martedì scorso, Bankitalia stima per il biennio 2008-2009 una crescita dell'1-1,1%, cifre che aumentano il divario fra il nostro Paese e gli altri dell'Unione europea, e che si innestano su «una debolezza di fondo». I rincari del petrolio e degli alimentari deprimono i consumi, il supereuro frena le esportazioni e rende più convenienti le importazioni.
A complicare il quadro l'inflazione mostra una «chiara tendenza» al rialzo. Si tratta di un fenomeno che provoca «danni insidiosi, gravi e duraturi», intacca il potere d'acquisto delle famiglie, scoraggia gli investimenti, deprime la crescita. La Banca centrale europea - di cui Draghi è attivo componente del consiglio direttivo - «ha il dovere di agire prontamente e con fermezza».
Ci sono stati, negli ultimi mesi in Europa e di conseguenza in Italia, aumenti dei tassi d'interesse, sia quelli ufficiali che quelli di mercato. Le tensioni sul mercato monetario si sono riflesse sui finanziamenti alle famiglie, in primo luogo sui mutui casa. Ma Draghi tiene a sottolineare che non c'è un allarme mutui: le stime di Bankitalia mostrano che l'incidenza delle sofferenze sullo stock dei prestiti per la casa resta «moderata, pur mostrando un leggero deterioramento». Sui mutuatari gravano però, ricorda il governatore, costi diversi dagli interessi: imposte, premi di assicurazione, commissioni, onorari e spese notarili, compensi per i periti, complessivamente troppo onerosi specie per i mutui di importo contenuto.
Questi costi possono essere ridotti attraverso la maggiore concorrenza, ed alle banche si chiede di accrescere la trasparenza dei contratti e migliorare le informazioni per la clientela.
Nel complesso, conclude Draghi, «il nostro sistema finanziario è solido».
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