Il dramma di mamma Michaela Andava ad allattare la sua bimba

È morta sul treno maledetto mentre sorrideva felice pensando al suo bebè appena venuto al mondo. Stava andando da lei, nata quattro giorni fa. Ed è morta, in un attimo, stritolata dal fango e dalle lamiere accartocciate. Una storia tragica nell’immensa tragedia consumatasi sul treno dei pendolari investito ieri da una frana mentre sferragliava placido verso valle.
Michaela Zoesch, 34 anni, aveva partorito con qualche settimana d’anticipo. Un parto spontaneo, ma un po’ troppo precoce: era andato tutto bene, ma la bimba non aveva ancora un peso considerato accettabile per essere dimessa.
Così la piccina era rimasta all’ospedale di Bolzano, ricoverata in osservazione in una termo-culla del reparto prematuri. Ogni giorno Michaela scendeva in treno fino al capoluogo per vederla ed allattarla. E come tutti i giorni anche ieri Michaela era partita dal paesino di Prato allo Stelvio, che sorge sotto il ghiacciaio.
A scoprire il dramma è stato il fratello della vittima che fa il volontario alla Croce bianca. A lui aveva telefonato la madre, dicendogli di avere sentito alla radio del disastro ferroviario e chiedendogli di controllare se la figlia fosse stata coinvolta. Un triste presentimento, l’angoscia. L’uomo ha cominciato così un giro frenetico di telefonate chiedendo notizie suoi colleghi soccorritori. Della donna all’inizio sembrava non esservi traccia. È stato soltanto alle due del pomeriggio che la famiglia ha avuto la tragica conferma: Michela era nell’elenco dei morti. Nessuna speranza, nemmeno un fragile appiglio cui aggrapparsi per non crollare nella disperazione.
Il secondo lutto per questa famiglia nel giro di nemmeno un mese. Tre settimane fa, infatti, era morto improvvisamente il nonno della neonata. Il triste compito del riconoscimento ufficiale della salma è toccato allo zio di Michaela all’ospedale di Silandro, dove i cadaveri delle vittime sono stati composti nella cappella mortuaria. Là si è recato anche un reparto specialistico della Protezione civile con un nucleo di psicologi incaricati di prestare assistenza ai parenti delle vittime.L’orrore resta dipinto, indelebile, anche sul volto di un carabiniere, uno dei tanti giunti per prestare soccorso. «Quando sono arrivato qui - racconta il militare - mi sono trovato di fronte a feriti che camminavano lungo i binari ricoperti di fango e sangue. Una scena terribile».
Il luogo della disgrazia non è raggiungibile con i mezzi di soccorso, così i feriti hanno dovuto camminare per alcune centinaia di metri per poi scendere lungo un sentiero verso il greto del fiume Adige, dove la Protezione civile stava nel frattempo allestendo una sorta di ospedale da campo. I più gravi sono stati i primi ad essere trasportati negli ospedali di Silandro, Merano e Bolzano. «Siamo dei sopravvissuti, l’abbiamo capito subito», quasi urlano due turisti tedeschi pesti, sanguinanti ma ancora vivi. «Un boato, il treno che precipita sotto una valanga di fango... Un miracolo poterlo raccontare», ricorda un altro scampato.
Difficili le operazioni di recupero dei passeggeri rimasti intrappolati nel convoglio. «Il treno era pieno di terra e di fango. Dobbiamo lavorare con le mani - spiegava con le lacrime agli occhi un pompiere -, è una cosa tremenda. Dai vagoni usciva gente piena di fango e i corpi, immersi nella terra ormai solida, non erano più seduti ma distesi». E man mano che spuntava un cadavere si apriva un telo di plastica. Molte delle vittime sono morte per soffocamento. Tra loro anche il macchinista, 25 anni: lascia la moglie e due bambini.
Un vigile del fuoco, tra tanto dolore, sembra voler cercare un briciolo di conforto pensando a quel che nel disastro almeno non è avvenuto. «Se la frana fosse caduta solo un’ora prima - - la tragedia avrebbe potuto essere ancora più grande, perché il treno prima delle otto è strapieno di ragazzi che vanno a scuola a Merano».
Consolazione disperata. Il padre di Judith Tappeiner, 20 anni, non lontano si dispera in silenzio.

È un commerciante a Silandro, in quel maledetto treno sua figlia c’era per sbaglio. Avrebbe dovuto prendere quello precedente per andare a Verona, all’università. Ma si era svegliata tardi. Ad attenderla solo un crudele, cinico, destino.
AAcq

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