«Gemine Muse»: ovvero l'interazione - e, soprattutto, le sue conseguenze - tra spazi espositivi storici e sensibilità contemporanea. Questo il perno su cui gravitano 140 artisti under 35, una quarantina di critici e 24 città italiane, nell'ambito di un progetto nato dalla sinergia tra realtà istituzionali, associative e private. «Gemine Muse» giunge alla quinta edizione svolgendosi in contemporanea in tutti i centri coinvolti: ad unirli le parole di Maurizio Maggiani, che aprono il catalogo ove sono raccolti testi e progetti ideati per l'occasione, e, ovviamente, la rete (www.giovaniartisti.it).
Genova non manca all'appello e sotto l'egida di Cesare Viel (docente all'Accademia Ligustica di Belle Arti) con la collaborazione di Miria Monaldi, ecco che lo scrigno d'acciaio e vetro concepito da Consuegra per il Museo del Mare si dischiude all'arte contemporanea (fino al 31 maggio). Nessuna irruzione negli spazi espositivi, ma un percorso che si rapporta a quello esistente con riserbo, agilità e voluta leggerezza, per esserne, in un solo atto, matrice di riflessione e sguardo sul futuro. In stile «Piece Unique» - la galleria parigina che espone, dalla sua vetrina su rue Callot, una sola opera site-specific per volta - Viel ha scelto quattro opere per delineare la fisionomia della ricerca ligure, selezionando gli artisti dalla Banca Dati del GAI (Associazione per il Circuito dei Giovani Artisti Italiani, che riunisce 45 amministrazioni locali) che ne conta oltre 400 nella regione. Selezione strettissima, dunque, per scongiurare il rischio di bulimia visiva e favorire la relazione tra opera e fruitore e la lettura del progetto, «Il viaggio. Percorsi e luoghi del divenire», che estende la natura del luogo ove si svolge abbracciando i concetti di abbandono, mutamento e conoscenza, lasciando «tracce» al Mentelocale e al Nouvelle Vague. Lungo l'intera struttura del Galata, si snoda una torre immaginaria, scandita da centinaia di cartoline, selezionate dal collettivo Actiegroep (Barbara Grigoli, Paola Lazzeri, Marta Merlo). Ricordi e desideri stereotipati, trafitti su pannelli o fissati su lunghi steli, per comporre nuove coordinate percettive negli spazi di passaggio, mentre «Il corpo in gabbia» di Armanda Cirio svela, in tre fotografie, la fatica di una donna intenta a liberarsi, metaforicamente, dalla struttura che l'imprigiona. Parole, volti, canti e attività quotidiane del Centro Anffas di Villa Galletto, sono narrate nel video di Luca Tornatola, che invita a un viaggio in una realtà vicina, ma spesso voluta distante.
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