Marcello Zacché
da Milano
Oltre ad Antoine Bernheim, presidente delle Generali, ci sarà anche il suo amministratore delegato Giovanni Perissinotto oggi a Roma. Entrambi invitati a un colloquio con i pm Perla Lori, Rodolfo Sabelli e Giuseppe Cascini che indagano sulle scalate bancarie. E che intendono chiedere conto delle dichiarazioni fatte loro da Silvio Berlusconi nella deposizione volontaria di venerdì scorso, a proposito della cena estiva tra il presidente Ds Massimo DAlema e lo stesso Bernheim. Perissinotto, che non centra con la cena di DAlema, sarà presente per «circostanziare» latteggiamento tenuto dalla compagnia nellambito della scalata di Unipol alla Bnl. Oggi sarà ascoltato anche il finanziere franco-tunisino Tarak Ben Ammar.
La questione è, al tempo stesso, complessa e lineare: complessa perché lintreccio Generali-Bnl parte da lontano e ha subìto nel tempo diverse trasformazioni. Lineare perché la questione su cui la compagnia deve esprimersi è semplice: a chi vendiamo la nostra partecipazione del 8,7% nel capitale della Bnl? A Unipol o no?
La quota deriva da unoperazione che non era stata pensata a Trieste, ma a Roma: a fine anni 90, uno dei progetti nel settore del credito era di creare un grande gruppo finanziario a baricentro meridionale. A questo scopo lIna partecipò alla privatizzazione di Bnl acquisendone l8,7%. Il secondo passaggio prevedeva unintegrazione con il Banco Napoli. Non se ne fece nulla perché lallora ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, preferì che la bad bank partenopea finisse nelle salde mani del Sanpaolo di Torino. Un concorrente bancario-assicurativo meridionale non piaceva neanche ai «poteri forti», alla Mediobanca che controllava Generali. Di qui lOpa che Trieste lanciò su Ina, di qui leredità, per il Leone, della quota Bnl, e di qui la nascita dei rapporti con Unipol, che nel 99 (proprio sotto il «primo governo» Bernheim, presidente fino al 2000) rileva da Trieste le attività che lAntitrust aveva imposto di vendere: il 50% di Bnl Vita e le compagnie Aurora e Navale.
Questo è il retroterra con cui fare i conti per capire i possibili rapporti di questestate tra DAlema, Unipol, Bernheim e Generali. Nel momento in cui, in gioco, cè di nuovo la nascita di un gruppo finanziario concorrente per Trieste (Unipol-Bnl), ma cè anche la scalata al Corriere della Sera. In cui molti dei protagonisti sono gli stessi: lo scalatore Stefano Ricucci stava anche in Bnl e a luglio trattava per vendere le sue azioni a Unipol, mentre tra i soci del Corriere ci sono sia Generali sia Della Valle, a sua volta socio sia della compagnia, sia della Bnl. Un intreccio ben fitto in cui è verosimile che interessi diversi abbiano cercato il modo di convergere su uno o più obiettivi.
Sta di fatto che quando a primavera il Banco di Bilbao lancia lofferta su Bnl offrendo azioni sue (valorizzate 2,52 euro per titolo Bnl), Bernheim dichiara in unintervista del 25 marzo che «per noi la situazione è molto difficile». Quando tutte le condizioni dellofferta spagnola saranno conosciute la compagnia «valuterà sulla base dei propri interessi e le proprie strategie». Poi, il 18 luglio, arriva lannuncio delliniziativa di Unipol (in contanti, a 2,7 euro per azione Bnl) e Bernheim, secondo indiscrezioni non confermate né smentite, durante il consiglio del 19 luglio prende posizione a favore dellofferta bolognese. Ma il consigliere Della Valle lo convince a lasciare la compagnia «alla finestra», sottolineando gli aspetti ancora incerti dellOpa Unipol e per consentire alla società di aderire comunque «alloperazione più vantaggiosa», in attesa della decisione finale del Bilbao. Che due giorni dopo, in effetti, molla la presa.
Di certo Generali si è trovata in una situazione paradossale: da una parte poteva favorire unoperazione che industrialmente non poteva far molto piacere, dallaltra aveva lobbligo, nei confronti dei propri azionisti, di aderire allofferta più ricca. In questo quadro si è mosso, in quei giorni di luglio, il presidente Bernheim.
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