Sono rimaste tre le sorelle italiane di Champions e basterebbe scorrere la classifica di casa nostra per conoscere il loro rispettivo stato psico-fisico e apparecchiare uno straccio di pronostico. Per sintetizzare: lInter resta la prima della classe e anche la più in forma, può stanare il Chelsea tra una settimana, il Milan si è appena ripreso dopo lo choc rimediato durante il derby, la Fiorentina è in preda a una crisi di nervi, di gol e di rendimento. Conclusione scontata: viola spacciati contro il Bayern, Milan in bilico dinanzi al Manchester, puntate a gogò su Milito e Mourinho chiamati a disfarsi della grifagna sagoma di Ancelotti e Drogba. Se fosse sempre così il calcio, in Italia come in Europa, cioè una banale operazione di aritmetica, potremmo chiudere bottega e dedicarci ad altro sport. E invece, per fortuna nostra, oltre che delle competizioni, sono molti altri i fattori che possono orientare il destino della Champions in arrivo. A cominciare dallo stato fisico, dallo smalto dei più ispirati protagonisti per finire alle motivazioni che in serate come le prossime non possono certo far difetto.
Prendiamo la Fiorentina. Solo qualche mese fa, questo stesso gruppo, certo con Mutu in più tra i ranghi, fu in grado di mettere sotto il Liverpool, di espugnare Anfield addirittura e di classificarsi al primo posto del girone lasciando a casa gli inglesi e tenendo dietro il Lione. Vista sabato sera a Genova, contro la Samp, è apparsa una pallida fotocopia di quella Fiorentina: difesa fragilissima nonostante linnesto di Felipe, centrocampo in affanno continuo a dispetto di talune performances (Montolivo strepitoso contro la Roma) e Gilardino spento come un lampione fuori uso. Ci si può fidare di questa premessa? La risposta è no perché una settimana prima, la stessa squadra ha messo sotto e fatto a fette la Roma, mancando gol e successo e consegnandosi allingiusto castigo per merito di un banale rimpallo sfruttato da Vucinic. Sono di un anno fa le due sfide precedenti con i tedeschi del Bayern: in Baviera Vargas e Felipe Melo fallirono un bel numero di occasioni, al ritorno si lasciarono infilare allo spiedo da quel fuoriclasse di Ribery. Non è un rivale irresistibile il Bayern: in velocità e con luno-due, si possono infilare i piloni difensivi, robusti ma a disagio dinanzi al dribbling secco di Jovetic o alla corsa sciolta di Vargas.
Proviamo a giocare Manchester-Milan partendo dai due grandi assenti. LUnited con Cristiano Ronaldo e i rossoneri con Kakà hanno rinunciato a una gran cifra tecnica ma nel complesso è il club più titolato al mondo a «marcare» il maggior disavanzo rispetto al precedente più recente, aprile-maggio del 2007 (2 a 3 allOld Trafford, 3 a 0 a San Siro). Sir Alex Ferguson, occhio lungo, lha declinato chiaramente: «Pato è larma letale del Milan attuale». Verissimo. Ha trascurato un particolare decisivo: Kakà fu devastante allandata, al ritorno salì in cattedra Seedorf. Lolandese è reduce da qualche censura e da una sosta prolungata: impossibile che possa essere come nelle serate migliori. Gli inglesi hanno un fuoriclasse assoluto: Rooney. Fu ridotto allimpotenza senza ricorrere a particolari manovre tattiche, solo su Cristiano Ronaldo si applicarono in due, Gattuso e Oddo, con grande efficacia. Non sarà semplice ripetere loperazione. Il numero 10 del Manchester è diventato nel frattempo il leader riconosciuto del gruppo, oltre che il terminale del gioco dattacco. Lassenza di Giggs, esperto navigatore di questi mari, può lasciare qualche segno.
La tradizione più la cabala sono dalla parte del Milan. Le poche volte che ha incrociato il Manchester, eliminandolo, è riuscito a toccare il traguardo della finalissima. Accadde ai tempi di Cudicini (laggiù nacque la leggenda del Ragno nero), si è ripetuto con Crespo nel 2005 e con Kakà nel 2007. Poche illusioni, questa volta. Sarebbe già impresa memorabile il superamento del turno.
Non cè Kakà ma Pato promette di rimpiazzarlo alla grande. È appena tornato, giusto in tempo per timbrare il cartellino con lUdinese.
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