Tutto cominciò negli anni tra il 1914 e il 1920 quando all'architetto Paolo Vietti Violi venne commissionata, in un'area di campagna a nord ovest di Milano, la costruzione del primo grande ippodromo da galoppo: l'ippica era uno sport nobile e per la buona borghesia meneghina che amava frequentare il circuito delle gare fu costruito un elegante edificio che conserva ancora oggi intatto il suo fascino.
Prima degli anni Venti le gare si svolgevano fuori città, in un'atmosfera più ruspante, soprattutto a Castellazzo di Bollate, oppure nel trottatoio dell'allora borgo di Tutto (l'attuale parco Trotter vicino a viale Monza, che dell'antica funzione ha conservato il nome) o addirittura per strada, lungo corso Buenos Aires. A promuovere l'ippica in Italia e a rivoluzionare il quartiere di San Siro ci pensò un appassionato d'eccezione: Benito Mussolini. Da metà degli anni Venti, il Duce si spese personalmente per incrementare la fama degli sport equestri in città: razionalizzò gli allevamenti e soprattutto stabilì in tempi rapidi la costruzione di un secondo ippodromo, dedicato al trotto. A raccontarci della passione di Mussolini per l'ippica e delle sue conseguenze sull'urbanistica della nostra città è un giovane storico milanese, Enrico Landoni, ricercatore all'Università Statale di Milano. Landoni ha appena pubblicato il saggio «U.n.i.r.e l'ippica italiana una difficile impresa per il Fascismo» (Edizioni Ornitorinco): documenti dell'Archivio di Stato, dell'Archivio di Milano e dell'Ufficio storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, raccontano di come Mussolini stabilì la costruzione di un nuovo e più moderno ippodromo per il trotto. Venne edificato accanto a quello del galoppo nel 1926, grazie ai contributi del conte Turati, all'epoca patron degli sport equestri a Milano. Il trotter di Turro fu abbandonato e da allora tutti gli sport a cavallo divennero l'anima del quartiere San Siro: nelle giornate migliori, c'erano quattromila persone ad assistere alle gare e ad animare il rione.
Mussolini investì molto nel trotto, disciplina nata in America e considerata più popolare perché si contrapponeva al regale stile del galoppo, inventato dagli inglesi. Le energie del Duce non andarono sprecate: per un decennio fantini milanesi e purosangue cresciuti con l'erba di San Siro girarono il mondo inanellando un successo dopo l'altro. L'ippica, che negli ippodromi milanesi aveva il suo tempio, si mantenne una disciplina indipendente, riuscendo persino a smarcarsi dal Coni, che sotto il Fascismo coordinava l'organizzazione di tutti gli sport.
A metà degli anni Trenta, l'inspiegabile cambio di rotta: l'Unione nazionale italiana incremento razze equine (la U.n.i.r.e, citata nel saggio di Landoni, indica l'organismo che sotto il Fascismo coordinava gli sport equestri) diventa la Cenerentola degli sport. Mussolini l'abbandona, non si reca più all'ippodromo né lo sostiene pubblicamente. Il cambiamento si spiega, nell'approssimarsi del conflitto bellico, con la necessità del Duce di smarcarsi da uno sport che da sempre è legato alla tradizione britannica, non solo nella terminologia ma anche nelle tradizioni. L'intero rione di San Siro risentì profondamente della mancanza di investimenti, specie durante i duri anni della guerra, quando era difficile trovare foraggio per i cavalli.
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