Due americani su tre: «L’Iran è una minaccia dobbiamo attaccare»

Roberto Fabbri

Com’era nelle previsioni, non è bastata la prima giornata di dibattito a Vienna per decidere sull’eventuale deferimento dell’Iran al Consiglio di sicurezza dell’Onu. I rappresentanti dei 35 Paesi membri del Consiglio direttivo dell’Agenzia atomica internazionale (Aiea) tornerà a riunirsi oggi pomeriggio. Tuttavia, dal momento che oltre agli Stati Uniti (come scontato) Russia e Cina - che sono membri permanenti del Consiglio di sicurezza e come tali dispongono del diritto di veto - hanno assicurato il loro sostegno alla proposta europea di deferimento, l’esito del voto sembra certo, a meno di sorprese dell’ultimo momento, sempre possibili.
Le preoccupazioni per il programma nucleare iraniano spingono però i cittadini americani verso scelte molto decise: due su tre, secondo un sondaggio, vorrebbero un’azione militare internazionale contro Teheran per impedire che la Repubblica islamica si doti della bomba atomica.
L’Iran, intanto, continua a mostrarsi spavaldo. Il presidente Mahmud Ahmadinejad ha ripetuto ieri che il suo Paese non intende rinunciare «sotto alcuna condizione» al suo programma nucleare. Programma che continua a definire pacifico e destinato unicamente alla produzione di energia per fini civili, anche se poi rivendica il diritto dell’Iran di procedere all’arricchimento dell’uranio, fase che può essere propedeutica alla fabbricazione di bombe atomiche.
Il rappresentante iraniano presso l’Aiea Alì Asghar Soltanyeh ha detto che se l’Agenzia atomica (istituzione collegata all’Onu) decidesse di deferire Teheran al Consiglio di sicurezza commetterebbe «un errore storico» e costringerebbe l’Iran a reagire, anche bloccando le ispezioni ai propri siti giudicati sospetti e riprendendo l’arricchimento dell’uranio nei propri impianti su scala industriale.
Un tema questo assai delicato, che si era cercato di disinnescare attraverso la proposta di compromesso russa, appoggiata da Washington e Unione europea: sì all’arricchimento dell’uranio iraniano, ma solo se condotto in impianti russi, così da evitare equivoci sull’impiego del materiale radioattivo. Ieri Ahmadinejad, nella sua foga polemica sempre tesa a solleticare il nazionalismo delle masse iraniane, ha rigettato anche questa alternativa: «Cosa potremmo fare - ha chiesto - se un giorno i russi rifiutassero di consegnarci il combustibile nucleare?».
Domani dunque si deciderà. È sufficiente una maggioranza semplice (18 sì su 35 votanti) per approvare la mozione temuta da Teheran, e sembra che solo i radicali Cuba e Venezuela, con la possibile aggiunta della Siria, voteranno contro; diversi Paesi non allineati (come probabilmente l’India) sceglieranno invece l’astensione. Sorprese sono dunque improbabili, e l’Iran appare contrariato dall’inattesa compattezza dei suoi critici.
Il direttore generale dell’Aiea, il prudente egiziano Mohammed ElBaradei, sottolinea che la questione del nucleare iraniano «è giunta a una fase critica», ma nega che si possa parlare di «una crisi che comporti dei pericoli immediati». Questo perché «esiste una finestra di opportunità» per Teheran fino alla pubblicazione del rapporto di ElBaradei sul dossier iraniano il prossimo 6 marzo.
Ma gli americani la pensano molto diversamente. Il capo dei servizi segreti Usa John Negroponte ha detto che gli Stati Uniti non credono che l’Iran abbia la bomba atomica, ma che comunque ritengono che il pericolo che possa dotarsene rappresenti «una preoccupazione immediata». Preoccupazione fortemente sentita nell’opinione pubblica americana. Smentendo quanti ritengono che l’esperienza irachena abbia reso gli statunitensi meno inclini all’uso della forza, un sondaggio rivela che 64 americani su cento sono favorevoli a un’azione militare internazionale contro l’Iran.

Sessantatré su cento vedrebbero di buon occhio un attacco condotto nell’ambito delle Nazioni Unite. Quasi la metà (il 47%) approverebbe un attacco all’Iran condotto dai soli Stati Uniti, mentre uno su quattro (il 24%) si spinge fino a volere la Repubblica islamica fatta oggetto di un attacco nucleare preventivo.

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