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D’Annunzio, il Duce e la città per raccontare la modernità

In "Shadow Ticket", pubblicato negli Usa, lo scrittore usa la "Milwaukee dell’Adriatico" come metafora

D’Annunzio, il Duce e la città per raccontare la modernità

Thomas Pynchon si è fermato a Fiume: nel suo nuovo romanzo Shadow Ticket (appena pubblicato negli Usa da Penguin Press, in Italia dal prossimo autunno per Einaudi) la cittadina è la metafora perfetta di come la storia di Fiume - che Pynchon chiama "la Milwaukee dell'Adriatico" - sia lo spartiacque della democrazia moderna, come quando scrive in un passaggio: "Un tempo grande porto d'imbarco per il Nuovo Mondo, luminoso e brulicante, Fiume è ora una città fantasma lacera, con una storia sordida di trattati segreti e svendite, che si fa strada a fatica attraverso quello che il regime fascista italiano chiama Anno Dieci, continuando a crollare su se stessa, difficilmente destinata a essere redenta, sbarrata e recintata col filo spinato, corrosa, piena di garitte, illuminata al chiaro di luna in certe notti più di quanto lo siano le poche insegne al neon rimaste. Alcuni danno la colpa all'Italia fascista, che l'ha assorbita. Altri fanno notare che qualsiasi tentativo di opporsi all'ordine liberale borghese è destinato a fallire (...). Fiume, nonostante la voce che Woodrow Wilson avesse persino preso in considerazione l'idea di farne la sede della Società delle Nazioni, si rivelò uno dei focolai di impermanenza". E questa "impermanenza" dimostra come "Fiume sia stata uno spazio di confine, sospeso tra ordine e anarchia, dove per un breve momento sembravano potersi scomparire le barriere sociali". Lo scrittore americano, massimo esponente del postmoderno contemporaneo, più volte nominato per il Premio Nobel, mette a confronto - in questo romanzo, ambientato durante la Grande depressione statunitense, le differenze tra Mussolini e D'Annunzio. Non sono semplici personaggi storici, ma figure-simbolo attraverso cui Pynchon esplora le continuità profonde tra le avanguardie politiche del primo Novecento e le forme contemporanee di controllo, spettacolo e manipolazione.

Le loro ombre percorrono sotterraneamente l'opera pynchoniana, ricordandoci che il potere moderno nasce dall'intreccio di estetica, tecnica e narrazione. Come in alcuni romanzi precedenti di Pynchon le figure di Mussolini e D'Annunzio non appaiono come personaggi, ma come presenze culturali diffuse, strutture simboliche che contribuiscono alla sua lettura del Novecento come teatro della modernità.

In questo quadro, Mussolini e D'Annunzio diventano snodi genealogici, antecedenti estetici e politici dei totalitarismi tecnologici contemporanei che i suoi romanzi analizzano. Per Pynchon, Mussolini rappresenta l'apice di una politica che mette in scena sé stessa, anticipando la logica dello spettacolo politico globale, mentre D'Annunzio è un poeta-guerriero e architetto del mito. Se Mussolini incarna la propaganda e l'ingegneria del consenso, D'Annunzio rappresenta per Pynchon un diverso tipo di avanguardia: quella estetico-simbolica, in cui il gesto politico diventa performance artistica.

Ma in Shadow Ticket come si giunge a Fiume? Partendo dalla trama che vede protagonista - nel 1932, in una America dove il Proibizionismo sta per essere abrogato - Hicks McTaggart un investigatore privato che lavora per l'agenzia

Unamalgamated Ops a Milwaukee. A Hicks viene affidato l'incarico di rintracciare Daphne Airmont, figlia del recluso Al Capone del formaggio Bruno Airmont, insieme a Hop Wingdale, clarinettista della swing band The Klezmopolitans e amante di Daphne.

La sua ricerca lo conduce prima a Belgrado, ma tutti gli indizi portano a Fiume. La ragazza si è rifugiata nella villa del padre che, come scrive Pynchon, "risale a subito dopo la Guerra, quando la repubblica di d'Annunzio era giovane e Fiume aveva la reputazione di città libera, un luogo in cui affluivano cercatori di divertimento da ogni dove, chiassosa baldoria di ogni persuasione, spalancata a nudisti, vegetariani, sniffatori di cocaina, imbroglioni, pirati e contrabbandieri, frequentatori di orge, combattenti in duelli notturni a colpi di bombe a mano, scandalizzatori della borghesia".

Pynchon non manca di far notare che dopo i tempi della Fiume dannunziana sono arrivati dei nuovi festaioli nella villa, diventata un ritrovo per "nottambuli, scrocconi, intrusi casuali, praticanti di arti esoteriche, timorosi del buio, socializzatori compulsivi, poliziotti segreti, ladri di gioielli, ragazze-lucciola, spacciatori, lavoratori delle fabbriche di sigarette, contrabbandieri di tabacco...". Quel che è notevole in Shadow Ticket è il senso di un intellettualismo utopico usurpato - nell'Anno X della forza fascista- che tenta di stabilizzare un perseguimento del potere dentro il contesto delle discipline umanistiche. E quando dei motociclisti irrompono a Fiume alcuni capitoli più tardi, domina uno spirito carnevalesco, "come se qualcuno avesse trovato la chiave di accensione di una macchina del tempo, le equazioni segrete della turbolenza sociale fossero di nuovo in funzione come ai tempi di D'Annunzio".

Certo bisogna stare attenti a non ridurre Shadow Ticket a una parabola politica, ma come lui stesso ha scritto "la narrativa non è solo atto dell'immaginazione". Verso la fine di Shadow Ticket - la cui trama come in tutti i suoi romanzi è molto complessa e attraversata da decine di personaggi - un sottomarino che attraversa l'Atlantico si imbatte in una statua gigantesca, "alta centinaia di metri, raffigurante una donna mascherata avvolta in equipaggiamento militare meno cerimoniale che adatto all'azione sul campo".

La scena richiama più di ogni altra cosa l'incipit di America di Franz Kafka, in cui un giovane immigrato negli Usa si trova ad affrontare, mentre la nave entra nel porto di New York, una visione da incubo della Statua della Libertà, con il "braccio che ora innalzava una spada". Ciò che ci vuol far comprendere Pynchon, in ogni pagina di ogni suo romanzo, sono i pericoli dell'oggi, trasformato in tutti i suoi aspetti politici e sociali in vaudeville.

Come quando scrive Alcuni di noi se le coscienze avessero le unghie dei piedi, resterebbero appesi solo per quel margine. Eppure la coscienza deve trovare il modo di continuare a operare dentro la storia". Perché anche Shadow Ticket è un romanzo di redenzione, sta a noi coglierla.

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