Claudia B. Solimei
da Parma
Mario Alessi era il capo. Per i suoi 45 anni, per il rapporto di fiducia che era ruscito a instaurare con gli Onofri, lavorando come muratore a casa loro. Perché probabilmente a lui era venuta l'idea di rapire quel bimbo malato, proprio come suo figlio. Del complice, Salvatore Raimondi, celibe, pure lui di origini siciliane anche se nato a Parma 27 anni fa, non si sa quasi nulla. La sua sembra una vita fatta di niente, da balordo come uno se lo immagina. Figlio di un ristoratore palermitano trapiantato a Parma, Raimondi era stato prima e per breve tempo pizzaiolo, poi carpentiere. Un passato con precedenti penali di basso profilo: alcuni fatti di droga, ricettazione di assegni rubati, quindi l'episodio più grave, un arresto per rapina e lesioni, nel 2002, dopo avere mandato all'ospedale un marocchino che gli doveva 300 euro. Anche allora il suo compare era stato un muratore, anche allora le cose finirono male.
La sua è una discesa allinferno. Il padre Calogero è disperato e racconta la sua sconfitta: «Ho cercato di tenerlo a bada fino a due anni fa. Poi ho dovuto gettare la spugna. Non sapevo più cosa fare. Se davvero ha commesso questo orrendo delitto deve soltanto pagare. Per noi non esiste più».
Ora il carpentiere, con Tommy morto ammazzato e le porte del carcere di Parma già chiuse alle sue spalle, tenta di addossare tutte le colpe su Alessi: «È lui che ha ucciso il bambino, strozzandolo», ha raccontato agli inquirenti sabato sera, crollando dopo tante ore di interrogatorio. Alessi ha però dato una versione opposta: è stato Raimondi a uccidere il piccolo a badilate.
E forse è stato proprio il 27enne, a perdere la testa di fronte al pianto disperato del bambino. Perché l'unica cosa certa, al momento, è che a crollare di fronte agli inquirenti è stato Salvatore Raimondi. Alessi, già indagato da una settimana, aveva resistito, andando anche in televisione a proclamare la propria innocenza e chiedendo la liberazione del bambino, pur sapendolo morto. Raimondi, lui no, non ha retto. Del resto, il Ris dei carabinieri di Parma aveva la «firma» del giovane, la cui posizione era fin dall'inizio compromessa: c'era quell'impronta lasciata sul nastro adesivo usato per immobilizzare gli Onofri la sera del sequestro.
Un errore da dilettante del crimine, come racconta anche la sua storia, fatta di piccoli reati e di frequenti cambi di indirizzo. Con il rapimento di Tommaso, forse Salvatore aveva creduto di fare il grande salto, di dare una svolta al proprio futuro intascando un gruzzoletto. È andata diversamente. Purtroppo.
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