Dylan: «I dischi degli ultimi vent’anni sono atroci»

Alla vigilia dell’uscita del nuovo cd il poeta dice: «Non c’è un album dal suono decente»

Antonio Lodetti

«Non conosco nessuno negli ultimi vent’anni che abbia inciso un disco dal suono decente. Questi dischi moderni sono atroci, la tecnologia appiattisce i suoni, rende tutto statico». Si sfoga Bob Dylan - in un’intervista a Rolling Stone - alla vigilia dell’uscita del suo nuovo album Modern Times, già definito a priori un capolavoro.
Vabbè, che i suoni moderni siano molto più puliti ma meno veri ed affascinanti che nel glorioso passato dei long playng è cosa che trova tutti d’accordo. Ma il poeta si spinge oltre e picchia duro. «Mi ricordo le polemiche per scaricare la musica gratis da siti come Napster. Ebbene, perché no? La gente fa bene a copiare le canzoni da Internet: non valgono niente». Il suo non è uno sterile attacco al mondo del rock, è un grido di rabbia che assume anche i colori dell’autoaccusa. Dylan - dal punto di vista dell’acustica - non è contento neppure di se stesso. «Anche i brani del mio nuovo album sicuramente erano dieci volte migliori quando sono stati suonati in studio rispetto a quello che si potrà ascoltare sul cd». Un inno al passato e alla nostalgia? Piuttosto un recupero del suo mondo. Se nei concerti dal vivo Dylan - che oggi sul palco si dedica esclusivamente al piano - assembla il rock and roll più ruvido ai sapori callosi del vecchio blues, nel nuovo cd (come e più dei precedenti Love and Theft e Time Out of Mind) trasporta nell’attualità i suoni di Woody Guthrie, Bukka White e Big Joe Williams che lo hanno partorito. Non fa come Bruce Springsteen che rilegge (peraltro splendidamente) Pete Seeger; lui scrive brani nuovi di zecca, attuali ma col cuore alle radici. Così può permettersi di parlare del suo mondo privato con un pizzico di nostalgia. «I dischi che ho sempre ascoltato e che amo ancora più di ogni altra cosa - prosegue - non si possono più fare oggi. Parlo dei long playing che giravano sui giradischi, quelli di Brian Wilson ad esempio; ma bisogna guardare in faccia la realtà, quei tempi sono andati per sempre. Noi dobbiamo fare ciò che possiamo per difendere i suoni veri combattendo la tecnologia in tutti i modi possibili».
Dylan è più che mai il padrone di se stesso, e non a caso Modern Times (in uscita l’1 settembre) è da lui prodotto con lo pseudonimo di Jack Frost.

«Non mi piace fare dischi - puntualizza -, lo faccio malvolentieri, ma ho scritto queste canzoni in stato quasi ipnotico, in una specie di trance. E poi ho la miglior band di sempre, gente che sa cosa voglio e cui non ho nulla da insegnare». Ci sono i presupposti perché i suoi «tempi moderni» facciano epoca come quelli di Charlie Chaplin.

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