E dopo 30 anni il Pd ha la stessa percentuale del Pci

Ventiseivirgolatre. Una percentuale impietosa. Che sembra rendere vani tanti sforzi per cambiare, adeguarsi alla storia, stare al passo con i cambiamenti sociali e politici. Tutto inutile. Perché tre simboli, quattro nomi e trent’anni dopo la falce e martello, il Pd milanese si ritrova nello stesso punto in cui stava il Partito comunista cittadino trent’anni fa, nel 1979, quando l’allora principale partito della sinistra italiana, alle elezioni europee, raccolse proprio il 26,3 per cento.
E sono praticamente 30 anni che le percentuali del partito erede del Pci non si schiodano da quella barriera che da tre decenni rappresenta il recinto e la prigione della sinistra comunista e poi post-comunista milanese. Alla faccia delle svolte socialdemocratiche, poi democratiche, e degli scimmiottamenti americani. Nel 1979 i comunisti in città erano al 26,3 per cento (27,9 con Democrazia proletaria). Dieci anni dopo al 24,6 (26,8 con Dp). Poi, nonostante le fusioni con gli spezzoni ex democristiani degli anni Novanta, e dopo il piccolo exploit del 2008, nel 2009 fa il Pd è tornato al 25,2 (28,7 con la lista comunista). E ora si torna a quel «maledetto» 26,3 per cento.
Insomma per quanti tentativi faccia di sfondare al centro, il recinto è quello, e non si supera. E non è solo un problema numerico. Anche politicamente la questione è quella: scrollarsi di dosso la patina del Pci-Pds-Pd, e proporsi davvero come un attore credibile del nuovo centrosinistra, quello capace di attrarre gli elettori centristi e di parlare alla fasce produttive delle regioni economicamente più avanzate del Paese.
Lo sa bene un moderato come Enrico Farinone, che nel Pd rappresenta proprio l’anima più moderata, quella di estrazione dc, che si sente sempre più stretta nella nuova creatura, dove il peso politico e organizzativo degli ex comunisti si fa sentire sempre di più, ed egemonizza la linea politica e la struttura. «L’analisi di Pierluigi Bersani sui risultati elettorali del Pd in generale, ma in particolare su quelli al Nord - dice Farinone - è sconfortante. Insufficiente. Consolatoria. In Lombardia abbiamo preso poco più del 20 per cento, e avremmo “migliorato” le nostre posizioni? Forse solo perché la legge elettorale ci consente di avere più eletti al Consiglio Regionale?».
Farinone non è convinto: «Mi preoccupa – dice l’ex segretario provinciale del Movimento Giovanile e consigliere comunale sestese della Dc - che a fare un’analisi del genere sia un uomo del Nord che il Nord ben conosce. Con queste premesse diventa difficile immaginare che vinceremo a Milano, tra un anno. Sarà bene che il gruppo dirigente del Pd – ovviamente in primis quello locale – comprenda che se non si toglie a questo partito la patina da vecchio Pds che tuttora lo copre non ci sarà possibilità alcuna da queste parti.


«Del resto - conclude Farinone - chi non ha quella tradizione alle spalle – inclusi i giovani che non hanno mai fatto parte di alcuna formazione politica – non è venuto nel Pd per stare in una copia sbiadita del Pds. Quindi, in vista di Milano – dove si può effettivamente provare a vincere – bisogna cambiare. E non poco».

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